Poliziotti con il vizio della tortura

by Editore | 25 Luglio 2012 8:59

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BUENOS AIRES – Nuove mele marce sono state scoperte in un cesto, quello della polizia, sempre povero di frutta fresca: siamo tra il giugno e il luglio dell’anno scorso, nella quiete coloniale della cittadina di General Gà¼emes, della provincia argentina di Salta. Mentre fuori la campagna indulge al sole d’inverno e guarda le Ande andare in Bolivia, a pochi chilometri, le mura del commissariato di zona nascondono un gioco strano: due ragazzi stanno in mutande in mezzo al cortile a tremare. Sono magrissimi e ammanettati. Quello in primo piano è Miguel Angel Martinez, detto Vampirito. Ha 17 anni. Un poliziotto grasso che poi si scoprirà  chiamarsi Gordillo, lo afferra per i capelli da beatle indigeno e lo mette in piedi. Un altro agente fa delle domande che non si capiscono bene. Gordillo stira e incrocia le braccia come chi sta per perdere la pazienza, poi prende una busta da supermercato e la infila in testa al ragazzo. Sulle prime è solo un cappuccio. Da sotto si sente dire: «non lo so, lo giuro, lo giuro», ma Gordillo non ci crede e stringe la plastica al collo, lasciando fuori l’aria. Vampirito si dimena e poi cade. «Parli?», gli chiede Gordillo, e lui fa «si» con la testa, ma poi patisce uno spasmo che sembra la morte e sviene per un attimo, riguadagnando il respiro. Questo è quello che alcuni chiamano un «sottomarino secco».
In secondo piano c’è Mario Luis Rodrà­guez, 18 anni all’epoca dei fatti. Vedendo quel che accadeva all’amico, ha gridato due o tre volte «basta, basta», distraendosi da ciò che stavano facendo a lui: mentre una guardia gli torce le braccia ammanettate dietro alla schiena, un’altra gli versa secchiate d’acqua in testa, anche in questo caso per fargli dire una cosa di cui molto probabilmente non ha alcuna idea. La scena resta impressa nelle memorie di chi l’ha subita e nelle coscienze strappate dei boia, poi, qualcuno carica su Youtube le riprese realizzate quel giorno e si decide subito che debba stare scritta anche su qualche fedina. Ad intervenire è quell’Argentina che si sta dimostrando capace di processare e condannare i militari che negli anni Settanta furono carnefici di una generazione intera e che ora si sveglia con i nuovi mostri in casa.
L’assessore alla Sicurezza di Salta, Eduardo Sylvester, va in conferenza stampa e tralascia gli eufemismi di rito in questi casi, parlando di «un evidente delitto commesso da parte del personale di polizia». In un primo momento, gli arrestati sono 5, poi cade anche il presunto cameraman, considerato anche il responsabile di aver, forse per rimorso, diffuso il video. Tutti appartengono alla narcotici, che a Salta si chiama Division de Drogras Peligrosas. Dai verbali risulta che Vampirito e Mario Rodriguez erano stati fermati con delle accuse di stupro, un campo d’indagine che sembra subito piuttosto strano per chi dovrebbe dare la caccia allo spaccio di droga.
La madre del primo dei due ragazzi, Beatriz Palacios, dà  alla stampa una pista interpretativa: «Gordillo torturava mio figlio per abitudine, lo portava al fiume Mojotoro, lo picchiava e lo minacciava perché poi non dicesse nulla». Alcuni giornalisti vanno a cercare l’altro torturato, Mario Rodriguez. Lo trovano arrabbiato, non vuole parlare, ma sta in fondo meglio di Vampirito che ha appena tentato di impiccarsi. «Certo, loco», risponde col gergo di strada a chi gli chiede se quella delle botte fosse un’abitudine, «ci portavano al rio Mojotoro e ci pestavano di continuo».
E allora si capisce che quanto successo a Salta è solo la fotocopia di ciò che i prepotenti fanno sempre e in tutto il mondo quando credono di poter restare impuniti: sfogare le loro frustrazioni sui deboli. Poiché ciò è accaduto e soprattutto perché non torni ad accadere, il governatore della provincia di Salta, Juan Manuel Urtubey, ha deciso di dare una spinta alla Legge Organica di Polizia, una riforma delle norme operative delle forze dell’ordine, ferma da qualche anno nell’assemblea legislativa locale, in cui si propone di introdurre alcuni principi legati al rispetto dei diritti umani (già  contenuti nella Costituzione argentina e in altri trattati internazionali), ma soprattutto, in cui si crea un ufficio di controllo all’operato della divisione disciplinare, ossia si mette un cane da guardia al cane da guardia del cane da guardia.
Le organizzazioni di militanza di base, quelle che cercano le tracce dei desaparecidos e tante altre sigle attive nella difesa dei diritti, che in questi giorni sono state protagoniste di una grandinata di comunicati di condanna per i fatti di General Gà¼emes, però, non si accontentano delle misure prese dalla politica e chiedono il carcere per i colpevoli, nonché l’istituzione di misure di prevenzione. «Ufficialmente in questi casi si parla di abusi, di gravi irregolarità  e si evita la parola tortura: è uno stratagemma per tenere basse le pene in tribunale», spiegano dalla Correpi, un’Ong che lotta contro le violenze nelle carceri e nelle istituzioni in genere. «In paese come il nostro, con una storia segnata da dittature e massicce violazioni dei diritti umani, è necessaria una profonda riforma delle forze di sicurezza», aggiunge la Correpi, eppure, secondo Amnesty International, l’80% dei casi di tortura avviene nei paesi del G20.

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