PIERRE BOURDIEU Così dall’antichità  a oggi la sottomissione della donna sta nello sguardo maschile

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   Esistono molti lavori di antropologia comparata relativi all’area mediterranea che tendono a mostrare che la Cabilia, per ragioni storiche, ha funzionato come un luogo in cui si è preservato intatto una specie di inconscio mediterraneo, quell’inconscio rintracciabile sia nei testi della Grecia antica sia della Grecia attuale o dell’Italia del sud, ma anche della Spagna o in genere di tutte le coste del Mediterraneo. La Cabilia ha conservato questo sistema ancora funzionante e di conseguenza ci mette sotto gli occhi il nostro stesso inconscio culturale in materia di mascolinità  e di femminilità . Ciò è dovuto alla costanza delle strutture simboliche sulle quali è basata la nostra rappresentazione della divisione del lavoro tra i sessi.
E se questa costanza è attestata, si pone la questione delle condizioni sociali che la rendono possibile. In altre parole, che cosa deve esserci di specifico nella logica del simbolico di cui fa parte la rappresentazione dell’opposizione maschile-femminile affinché, al di là  dei cambiamenti economici, al di là  delle trasformazioni tecnologiche, si possano cogliere somiglianze così profonde tra stati così differenti della società ?
Se il dominio maschile può perpetuarsi, senza dubbio con alterazioni, ma minori di quanto non si creda, nonostante i cambiamenti tecnologici ed economici sopravvenuti, ciò ha forse a che fare con il fatto che l’ordine simbolico, o quello che chiamo il mercato dei beni simbolici, costituisce un ambito relativamente autonomo rispetto all’ordine economico e all’ordine tecnologico.
Esiste una logica specifica dell’economia dei beni simbolici distinta da quella economica, e questa logica può in parte funzionare anche all’interno dell’ordine più strettamente economico (e qui avrei potuto ricordare un bel lavoro sulle hostess a pagamento che in Giappone accompagnano gli uomini a spese delle grandi società , lavoro che mostra come le burocrazie moderne utilizzino le strutture più tradizionali della divisione del lavoro tra i sessi per assolvere funzioni economiche ultra-razionali).
La logica specifica dell’economia simbolica si perpetua infatti perfino negli ambiti più strettamente economici come quello delle imprese e viene osservata soprattutto in determinati universi, per esempio quello della produzione culturale (non è un caso se si tratta di uno dei campi più femminilizzati), della letteratura, dell’arte, della televisione, della radio, o quello religioso (dove si incontrano, e ancora una volta non è un caso, molte forme di volontariato femminile), e infine nell’ordine domestico.
Andrebbe anche mostrata, ma anche questo richiede troppo tempo e spazio, la logica specifica di questa economia e ciò che fa sì che essa si perpetui anche a dispetto di tutte le necessità  economiche nelle società  più pervase dalla logica capitalistica.
Ma soprattutto è necessario mostrare che alla base della situazione dominata della donna, e del suo perpetuarsi al di là  delle differenze temporali e spaziali, c’è il fatto che in questa economia la donna è più oggetto che soggetto. Vanno ricordate a questo punto le famose analisi di Lévi- Strauss sullo scambio delle donne reinterpretandole in maniera tale da introdurvi la dimensione politica (penso al dominio che presuppone lo scambio e che si compie e si riproduce attraverso di esso). Mi soffermerò un attimo solo sul ruolo passivo attribuito alla donna e che mi sembra trovarsi, ancora oggi, a fondamento del rapporto che le donne hanno con il proprio corpo, un rapporto che ha a che fare con il fatto che il loro essere sociale è un essere-percepito, un
percipi,
un essere per lo sguardo e, se si può dire così, un essere tramite lo sguardo, suscettibile di venire utilizzato, a questo titolo, come un capitale simbolico. L’alienazione simbolica alla quale sono condannate, visto che sono destinate a essere percepite e a percepirsi attraverso le categorie dominanti cioè maschili, si ritraduce nell’esperienza stessa che le donne fanno del proprio corpo e dello sguardo degli altri che è stato messo molto ben in luce e analizzato da una fenomenologa americana di cui non avrò purtroppo il tempo di riassumere l’analisi. Poiché temo molto di essere frainteso, cercherò di spiegarmi con un esempio, rifacendomi a un bell’articolo sulle donne e lo sport. L’articolo mostra che la pratica intensiva di una certa disciplina sportiva determina nelle donne una trasformazione del rapporto con il proprio corpo e permette loro di accedere a una visione di esso che si potrebbe definire maschile; consente loro insomma di avere un corpo per sé invece di essere un corpo per gli altri, dà  loro un corpo che è in sé il proprio scopo. Cosa che lascia peraltro chiaramente emergere il fatto che il corpo imposto in tempi normali è dunque un corpo-per-l’altro, un corpo abitato dallo sguardo degli altri, un essere percepito. L’alienazione legata al fatto di avere un corpo visibile, e di trovarsi quindi sempre sotto lo sguardo degli altri, presenta gradi diversi: è tanto più potente quanto più si scende nella gerarchia sociale perché si hanno più opportunità  di avere un corpo poco conforme ai canoni dominanti. E trova il proprio limite proprio nelle donne alle quali l’esperienza del corpo come corpo per l’altro si impone con forza particolare per via del ruolo che è loro prescritto nel mercato dei beni simbolici, dove sono oggetto, essere percepito, capitale simbolico, che devono gestire – e di cui sono in qualche maniera le contabili – davanti agli uomini. La trasformazione del rapporto con il corpo attraverso lo sport si accompagna a una trasformazione profonda dei rapporti con gli uomini. Le donne smettono in questo caso di apparire femminili, cioè disponibili, almeno simbolicamente. Il loro rapporto con il proprio corpo è cambiato al punto che non rispondono più alle attese socialmente costituite su che cos’è una donna. Si potrebbero senza dubbio fare considerazioni simili per quanto riguarda il cambiamento del rapporto con il corpo legato alle professioni intellettuali.
Un’ultima parola per esprimere un rimpianto: ho ricordato l’esistenza di un’economia dei beni simbolici relativamente autonoma rispetto alle basi economiche della società  – un’autonomia relativa, evidentemente –, ma non ho analizzato su che cosa si fonda tale autonomia e il modo in cui si radica nella logica della riproduzione biologica e soprattutto sociale. Non ho mostrato come le nuove tecnologie della riproduzione biologica, per esempio, possono contribuire a trasformare la dicotomia produzione/riproduzione che è il fondamento dell’economia dei beni simbolici. Lungo questa strada, avrei potuto affrontare il problema del nesso tra rapporti sociali tra i sessi e rapporti sociali tra le classi. Ma non posso fare altro che enunciare i titoli dei temi che avrei voluto trattare e fermarmi.
Traduzione di Monica Fiorini Per la traduzione italiana © Lettera Internazionale Questo testo è apparso sulla rivista Cahiers du Genre, 2002/2, n. 33 e pubblicato sul n. 112 di Lettera Internazionale per gentile concessione di Jérà´me Bourdieu.


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