Pakistan Scandali, scontri armati la tempesta perfetta all’ombra dei militari

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LAHORE – È un segno della confusione che regna di questi tempi in Pakistan: il 5 giugno — nonostante i continui black-out elettrici, il tracollo economico, la guerra civile in due province su cinque, la violenza dilagante dall’Himalaya al Golfo arabico e i disastrosi rapporti con gli Stati Uniti — i vertici militari pakistani hanno deciso che quello era il momento migliore per un lancio sperimentale di missili Cruise predisposti per testate atomiche. È il quinto di questo tipo dall’aprile scorso. Presumibilmente questi test dovevano servire a sollevare il morale di un’opinione pubblica gravemente depressa, ma anche a far sapere all’India che malgrado i suoi problemi il Pakistan non intende abbassare la guardia, e a inviare un segnale d’orgoglio a Leon Panetta, segretario alla Difesa Usa, arrivato quello stesso giorno a Dehli.
Ma in un Paese oppresso dalla calura, spesso senza corrente elettrica o acqua corrente, con un futuro di disoccupazione crescente e poche speranze di miglioramento della scuola e della sanità , la maggioranza della popolazione ha ignorato questi test missilistici. Certo, anche l’India ha realizzato una serie di test analoghi, ma non in una condizione di disagio economico paragonabile a quella del Pakistan.
L’ultimo episodio di una crisi politica in atto da tempo risale al 19 giugno: la Corte Suprema ha destituito il primo ministro Yousuf Raza Gilani, sollevando tutta una serie di problemi giuridici e costituzionali. Molti hanno parlato di un «golpe costituzionale», dato che solo il parlamento ha il potere di destituire un premier. A questo punto il presidente Asif Ali Zardari ha proposto al parlamento di eleggere primo ministro Mkahddoom Shahubddin, un duro del partito di governo Pakistan Peoples Party (Ppp); ma i vertici militari e la Corte si sono messi di traverso facendo pressioni sulla Anti-Narcotics Force, il corpo militare di lotta al narcotraffico, per far emettere un mandato d’arresto a carico di Shahubddin, e costringendo Zardari a designare un altro candidato, nella persona di Raja Pervez Ashraf, che il 22 giugno è stato eletto primo ministro.
Non sembra però che tutto questo basti a far uscire il Pakistan dall’attuale incertezza politica, e a scongiurare l’ulteriore aggravamento della sua crisi istituzionale.
Lo stesso Ashraz è infatti indagato per corruzione, e la Suprema Corte, sempre più allineata ai vertici militari, potrebbe farlo arrestare da un giorno all’altro. Non solo: anche nei confronti di Zardari sono pendenti accuse di corruzione di vecchia data, e la magistratura potrebbe riesumarle in qualunque momento, malgrado l’immunità  di cui il presidente si fa scudo.
Tutte le maggiori istituzioni dello Stato pakistano sono oggi in conflitto tra loro. Non solo il governo guidato dal Ppp e dal Presidente Asif Zardari, ma anche la Suprema Corte, i partiti d’opposizione e i media hanno dovuto far fronte a una raffica di scandali; e in queste ultime settimane non hanno fatto altro che scagliarsi reciproche accuse di corruzione. Finora solo l’esercito ne esce candido come un giglio — a parte i sospetti di tangenti a carico di un buon numero di generali in pensione.
Per i vertici militari pakistani — i più esperti del mondo nel creare l’atmosfera giusta per un colpo di stato — è in atto in Pakistan la tempesta perfetta per mettere a segno quello che sarebbe il loro quinto colpo di stato. Tutte le istituzioni sono screditate. Il Paese non ha più fiducia nei politici, e nell’opinione pubblica crescono anche i dubbi sulla democrazia. La crisi economica e l’implacabile violenza estremista hanno già  comportato costi altissimi in termini di vite umane e di danni materiali;
e il deterioramento dei rapporti con l’Occidente ha confinato il Pakistan in un isolamento senza precedenti. Eppure, stavolta un golpe militare avrebbe scarse probabilità  di riuscita, a fronte dell’attuale marasma, e data la manifesta incapacità  dei militari (soprattutto dopo che hanno fatto infuriare gli Stati Uniti e la Nato) di proporre soluzioni valide ai problemi
del Paese.
Le forze armate vorrebbero che l’attuale governo a guida Ppp sia esautorato dalla Corte suprema e sostituito da un esecutivo ad interim, in vista di elezioni generali. In questo scenario, la Corte Suprema e i vertici militari potrebbero
agire di comune accordo, denunciando per corruzione una schiera di politici e imponendo le severe riforme economiche richieste dal Fmi: riforme che l’attuale governo civile si era rifiutato di attuare. Ma in tal caso il mandato del governo ad interim rischierebbe di essere protratto anche per un anno, e il rinvio delle elezioni generali darebbe modo ai militari di prendere nuovamente il controllo della direzione politica del Paese.
La mancata attuazione delle riforme da parte dell’élite al governo è all’origine dei problemi del Pakistan. Per molto tempo, le forze armate e i governi che si sono
succeduti non hanno avuto il coraggio o la volontà  di prendere alcune difficili, ma indispensabili decisioni: un accordo di pace con l’India, il contenimento degli estremismi, una congrua tassazione dei grandi proprietari terrieri. Negli anni ‘90, dopo la fine della guerra fredda, il Pakistan continuava caparbiamente ad arroccarsi nella sua struttura feudale, e il suo esercito portava avanti una sorta di guerra clandestina a fianco dei Taliban in Afghanistan e dei separatisti nel Kashmir indiano. La situazione in Pakistan si è quindi deteriorata sempre più per cause interne, anche prima dell’improvvida decisione di of-
frire rifugio ai Taliban in fuga nel 2001 — data l’ostinazione dei militari a non desistere dalle proprie scelte anche a fronte dell’occupazione Usa in Afghanistan. Ma benché dopo l’11 settembre 2001 la strumentalizzazione dell’estremismo islamico per fini di politica estera si sia rivelata una scelta fallimentare, il Pakistan ha rifiutato di cambiare rotta e di prendere atto che il mondo era cambiato. Oggi il Paese paga un prezzo elevato per questa scelta: sono ormai 35.000 i cittadini uccisi dai Taliban pakistani o da gruppi di fiancheggiatori, in un’efferata guerra settaria, ormai sfuggita a ogni controllo.
Purtroppo, dopo gli errori commessi in quest’ultimo anno dall’amministrazione di Obama nei suoi rapporti col Pakistan gli esponenti della linea dura si sono convinti di essere sulla strada giusta. Ai loro occhi le mosse di Washington — il provocatorio corteggiamento di New Dehli, i colloqui di pace con i Taliban senza il coinvolgimento del Pakistan, la pianificazione del ritiro dall’Afghanistan senza adeguate consultazioni con Islamabad — mirano a significare ai vertici militari pakistani la perdurante ostilità  americana.
Le pessime relazioni con gli Stati Uniti hanno distratto il Pakistan dai suoi problemi reali, che sono quelli di una crisi sempre più avvitata su se stessa. Servirebbero dirigenti capaci di proporre una narrativa nuova. Il Pakistan ha bisogno di figure capaci di suscitare uno slancio ideale, di denunciare la corruzione e l’inettitudine dei politici di turno e di proporre riforme economiche e fiscali. Ma almeno per il momento non si vede all’orizzonte nessun leader di questa statura. Il sessanta per
cento della popolazione del Pakistan — 180 milioni di abitanti — ha meno di 25 anni. Questi giovani hanno bisogno di una nuova visione della storia del Pakistan e del suo futuro: di una narrativa che ponga in primo piano non l’esercito e le armi nucleari, ma i cittadini
di questo Paese.
Traduzione di Elisabetta Horvat


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