by Editore | 18 Luglio 2012 6:57
Rischiano San Gennaro e Sant’Ambrogio. Rischia di meno la festività romana di San Pietro e Paolo del 29 giugno. Teoricamente nel mirino ci sono anche le feste più rappresentative dell’unità nazionale: la festa della Liberazione del 25 aprile, la festa dei lavoratori del 1° maggio e la festa della Repubblica il 2 giugno. Su queste ultime ricorrenze ieri si è levato il muro dell’Anpi, associazione partigiani: «No, rappresentano i valori fondanti della Repubblica». Frena anche il cattolico Rocco Buttiglione: «Le feste concordatarie possono essere riviste solo modificando l’accordo con la Chiesa e non è una cosa che si possa fare dall’oggi al domani ». Contraria anche la Cgil: «E’ l’opposto di quello che serve».
Il sasso in piccionaia lanciato dal sottosegretario al Tesoro Gianfranco Polillo ha scatenato il putiferio: «Mi auguro che il problema venga preso di petto perché lavorare di più è una delle chiavi per risolvere la crisi ». E ieri sono giunte conferme che il governo sta lavorando all’ipotesi di ridurre il numero delle festività infrasettimanali. L’idea, secondo indiscrezioni circolate, sarebbe tuttavia limitata all’accorpamento al weekend o al lunedì delle feste patronali (come San Gennaro a Napoli e San Nicola a Bari) per evitare lunghi ponti e non coinvolgerebbe le cosiddette feste concordatarie che sono previste dai trattati tra governo italiano e Santa Sede, ovvero feste come il Natale, l’Epifania o Ognissanti. E all’estero? In molti paesi europei, come in Gran Bretagna e come vuole fare la Spagna si cerca di far cadere le festività di lunedì. Ma in termini quantitativi il quadro europeo non si discosta molto dal nostro: considerando anche le feste che cadono
la domenica, quest’anno in Italia siamo a 12, in Germania (9-15 secondo il laender) e in Francia e Spagna a 11.
Costi e benefici? Nel 2004 Berlusconi aveva proposto di eliminare le feste dell’Epifania e di Ognissanti per scardinare l’andazzo dei ponti: allora alcuni economisti valutarono che l’effetto positivo sul Pil sarebbe stato dello 0,1 per cento, circa 1,6 miliardi di euro. Del resto nel 1976 in piena austerità furono abolite l’Epifania e San Giuseppe e fu addirittura spostata la festa del 2 giugno alla prima domenica del mese. Successivamente Epifania e festa delle Repubblica ripresero il loro posto nel calendario ad opera di Craxi e Ciampi. Lo scorso anno Tremonti tornò alla carica e ripropose l’accorpamento delle feste patronali: effetto sempre lo 0,1 del Pil.
A sparare contro l’idea circolata sono anche gli albergatori. Secondo Renzo Iorio, presidente della categoria Federturismo, aderente a Confindustria, «spostare le giornate di festa verso la fine della settimana può essere di aiuto alla produttività , ma sarebbe miope abolire le festività per produrre di più: colpirebbe il turismo e il suo indotto che valgono l’11% del Pil». Alcuni economisti mettono in luce che non è il numero dei giorni o delle ore lavorate a fare la differenza ma la quantità di prodotto che si «spreme» da ogni ora lavorata, tant’è che da anni si valuta la cosiddetta «produttività totale dei fattori» che considera capitale umano, investimenti e altro ancora. Del resto, secondo i dati Eurostat, in Italia si lavorano 1.694 ore all’anno, 153 più della Francia e addirittura 225
più della Germania.
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