“Non si può rinunciare alla solidarietà  solo così si arriva all’integrazione europea”

by Editore | 3 Luglio 2012 7:07

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PARIGI — Dopo il successo del vertice di Bruxelles bisogna andare avanti sulla strada della solidarietà  e dell’integrazione, senza mai separare la seconda dalla prima: ne è convinto Bernard Cazeneuve, ministro degli Affari europei, che difende anche l’idea di un motore franco-tedesco capace di aprirsi agli altri partner.
Signor ministro, come valuta l’accordo della settimana scorsa? Si può dire che l’Europa si sia avviata sulla strada di una maggiore integrazione?
«Volevamo riorientare la politica europea verso la crescita: sappiamo che il risanamento passa per il riequilibrio dei conti pubblici, il controllo e la diminuzione dei debiti sovrani, ma il risanamento è impossibile senza crescita. A Bruxelles abbiamo fatto molto perché fossero realizzati investimenti per il futuro grazie alla ricapitalizzazione della Bei, alla mobilitazione dei fondi strutturali e ai project bond. Abbiamo inoltre fatto passi decisivi verso l’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie. E abbiamo fatto anche un passo avanti verso l’unione bancaria. Eravamo favorevoli all’intervento diretto del Meccanismo europeo di stabilità  (Esm) per ricapitalizzare le banche. Usciamo dal vertice con un pacchetto che mobilita 120 miliardi per la crescita, permette la supervisione bancaria integrata e apre la strada a una road map verso l’Unione economica e monetaria. Tutto ciò giustifica un’integrazione delle modalità  di pilotaggio, quel che il presidente della Repubblica ha chiamato l’integrazione solidale».
Eppure, si ha spesso l’impressione che la Francia sia più reticente di altri paesi quando si tratta di andare avanti sulla strada di una maggiore integrazione.
«Non si può dire questo: i francesi sono favorevoli a un processo d’integrazione politica. Consideriamo semplicemente che questo processo dev’essere tanto più forte quanto più ambiziosi sono gli strumenti di solidarietà  che ci diamo. Herman Van Rompuy è incaricato della road map per la messa in opera della supervisione bancaria, la cui contropartita sarà  l’intervento dell’Esm nella ricapitalizzazione delle banche. Questa road map servirà  anche a costruire l’Unione monetaria: la stabilità  presuppone convergenze nelle politiche di bilancio. C’è già  un’iniziativa del Parlamento europeo sul loro coordinamento. Se occorre andare oltre nell’integrazione, ciò va fatto nel quadro dei dibattiti attorno alla road map».
Ma l’idea di un trasferimento di sovranità  verso le istanze europee vi spaventa?
«Quel che ci fa paura sono i trasferimenti di sovranità  senza solidarietà , senza progetto politico per l’Unione, senza assicurarsi che l’Ue abbia riorientato la sua politica verso la crescita, seguendo i migliori standard in materia di diritto del lavoro, diritto sociale e diritto fiscale. Per noi l’Europa non può essere un grande mercato aperto ai quattro venti del liberalismo, in cui il dumping fiscale
e sociale rappresenta la regola. Vogliamo un’Europa della crescita, della solidarietà , del progresso, dell’innovazione. Se ci diamo i mezzi per raggiungere questi obiettivi, non c’è motivo per rifiutare una sovranità  condivisa con i nostri partner».
«No, anche noi vogliamo investimenti innovanti e un approfondimento del mercato interno, ma senza rimettere in causa il modello del servizio pubblico alla francese. L’Europa uscirà  dalla crisi e si costruirà  un futuro grazie a compromessi senza ambiguità . Non si può accettare una maggiore integrazione senza solidarietà ».
I rapporti con Berlino non sono stati malmenati negli ultimi tempi?
«Al contrario: la relazione franco-tedesca esce confortata dal vertice perché si è riequilibrata e aperta agli altri paesi. E’ stata sempre costruita da capi di Stato e di governo capaci di parlarsi apertamente per costruire buoni compromessi. In queste settimane siamo riusciti proprio a mantenere questa fiducia. Il motore franco-tedesco dev’essere equilibrato e aperto e la riunione a quattro di Roma, con Italia e Spagna, ha dimostrato la sua capacità  ad aprirsi».
L’Europa non può essere un grande mercato aperto ai quattro venti del liberalismo, in cui il dumping fiscale e sociale rappresenta la regola.

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