Neoassunti, 8 su10 precari e i redditi operai precipitano 1.240 euro in meno in 4 anni

by Editore | 23 Luglio 2012 5:33

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Più precariato per chi trova lavoro, meno reddito per chi riesce a mantenerlo. La crisi continua a pesare sulle famiglie sia in termini di occupazione che di potere d’acquisto. Il posto fisso, anche nel lavoro offerto dalle poche aziende che assumono, è diventato un miraggio. Secondo le previsioni di Unioncamere-Excelsior, dei nuovi posti resi disponibili nel trimestre in corso, solo due su tre saranno legati ad un contratto a tempo indeterminato. Sei mesi fa il rapporto era ancora fermo a tre su dieci. Né le nuove assunzioni freneranno la disoccupazione giovanile: agli under 29 anni sarà  riservato solo il 32,7 per cento dei nuovi posti.
Il precariato in grande ascesa va di pari passo con il crollo dei redditi reali. Secondo la Banca d’Italia, fra il 2006 e il 2010 le famiglie, in termini di entrate annue, hanno perso 880 euro. Sulle buste paga individuali la caduta è stata in media di 50 euro. Dieci anni fa, dunque, stavamo tutti meglio, pur se a subire i colpi della crisi sono stati soprattutto gli operai, che hanno visto precipitare il loro potere d’acquisto di 1.236 euro in meno di quattro anni. In caduta libera anche le entrate dei dirigenti, che negli anni della crisi sono crollate del 13 per cento; in crisi i lavoratori autonomi (meno 9 per cento). A risollevare il morale delle famiglie è rimasta solo la pensione dei nonni, l’unica fonte di reddito che negli anni più duri è rimasta ancorata ad un lieve aumento (più 3,3 per cento).

I lavori a termine / Sei mesi fa erano il 70 per cento le aziende non hanno prospettive    


Se il posto fisso resta un sogno, solo due nuovi assunti su dieci riescono a realizzarlo. La crisi ha esasperato la precarizzazione del lavoro: dei 159 mila posti (meno 2 cento rispetto allo scorso anno) che le aziende intendono mettere a disposizione nel terzo trimestre di quest’anno, il 19,8 per cento appena riguarda contratti a tempo determinato. Solo sei mesi fa, all’inizio del 2012 le cose andavano un po’ meglio: la quota riservata al lavoro stabile era di tre posti ogni dieci. Lo rileva il Bollettino di luglio-settembre pubblicato da Unioncamere-Excelsior in collaborazione con il ministero del Lavoro. Il dato del 19,8 per cento, va detto, tiene conto di tutti i contratti, stagionali e non, ma anche escludendo i posti destinati a durare una sola estate la percentuale non cambia di molto: i posti fissi non arriverebbero a quattro ogni dieci (il 35,8 per cento, ma nei precedenti cinque trimestri superavano il 40). Segnale, commenta Unioncamere che la paura è tanta anche fra le poche aziende che decidono di aumentare la forza lavoro. A frenare i loro progetti è soprattutto l’effetto «incertezza» che le porta ad inquadrare, comunque sia, le nuove assunzioni nella stagionalità  o nel tempo determinato. E ciò, commenta Unioncamere, al di là  degli andamenti del lavoro, è legato soprattutto «alla debolezza e incertezza dello scenario economico».

I giovani / Solo un terzo dei nuovi occupati ha un’età  inferiore ai 29 anni    


Pochi, ma un po’ più giovani. Il 32,7 per cento delle assunzioni che le imprese intendono effettuare fra i mesi di luglio e settembre è destinato agli under 29: un punto in più rispetto al precedente trimestre. Il piccolo aumento segnalato da Excelsior, a dire il vero, riguarda solo il settore dei servizi, dove la quota di giovani in entrata viaggia attorno al 34,7 per cento. Tendenza opposta invece per l’industria: nel settore, particolarmente penalizzato dalla crisi, la quota di assunzioni (volte soprattutto a operai dell’alimentare e metalmeccanici) riservata agli under 29 non va oltre il 26,8 per cento. Le aziende, quindi, una volta deciso di assumere a tempo determinato, continuano a non guardare con particolare interesse alle forze fresche, anche perché sul mercato del lavoro stanno arrivando 40-50 enni che hanno perso il posto, ne cercano un altro e sono già  formati. Difficile quindi immaginare che il pesante dato della disoccupazione giovanile possa essere scalfito. In lieve aumento, invece, la propensione ad assumere una donna (il 21,4 per cento trainato soprattutto dal settore moda e da quello dell’assistenza alla persona). In caduta libera, le assunzioni di personale immigrato, che saranno il 14,2 per cento in meno rispetto al precedente trimestre: fra luglio e settembre le assunzioni stagionali si fermano.

I mestieri più richiesti / Ingegneri, informatici e sanitari per loro il posto è assicurato    


Le assunzioni sono in calo: nel terzo trimestre di quest’anno se ne faranno 3.800 in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e 69 mila in meno rispetto ai precedenti tre mesi. Eppure la crisi non riguarda tutte le professioni o, comunque, non tutte allo stesso modo. In alcuni casi, per esempio, le aziende confessano di fare fatica a trovare candidati adatti: nella sanità  e nei servizi socio-assistenziali sono previste, nel trimestre, 8500 assunzioni, mai il 20 per cento del totale è considerato di difficile reperimento. Stessa cosa per ingegneri e tecnici informatici: ci sarebbero 1.300 figure introvabili sulle 4.700 assunzioni previste. Difficile anche individuare i 6.700 operai specializzati nella metalmeccanica ed elettronica di cui le imprese annunciano di avere bisogno: nel 26 per cento dei casi assicurano che reperirli è problematico.
Lasciando invece da parte il grado di difficoltà  e guardando ai grandi numeri, le professioni più richieste (anche se in diminuzione rispetto al passato) sono quelle di commesso (ne saranno assunti 10 mila), addetti alla segreteria (7.700 posti da coprire in questo trimestre), i 5.000 assistenti sociali (a domicilio e non) e più di tutto personale non qualificato per la polizia e il servizio alla persona (badanti): ne serviranno oltre 16 mila.

Le retribuzioni / La caduta del potere d’acquisto è iniziata due anni prima della crisi    


Chi non ha lavoro fa fatica a trovarlo, ma chi ancora può contare su una busta paga deve fare i conti con una netta caduta dei redditi e del potere d’acquisto. La Banca d’Italia, analizzando le entrate delle famiglie dal 2000 al 2010, ha scoperto che in dieci anni le retribuzioni reali, al netto dell’inflazione, sono rimaste ferme al palo: nel lungo periodo le entrate dei dipendenti sono aumentate di appena 29 euro, passando dalla media di 1.410 euro a 1.439 (più 2 per cento). Ma a pesare sul potere d’acquisto delle famiglie sono stati soprattutto gli ultimi anni, quelli legati all’esplosione della crisi: nel 2006 le retribuzioni medie arrivavano a 1.489 euro, due anni dopo (con l’inizio della crisi) erano scese a 1.442. Nel 2010 la situazione è ulteriormente peggiorata, arrivando a 1.439 euro. La riduzione in termini reali, in quattro anni, è stata di 50 euro, il 3,3 per cento. Ma se si guarda al reddito dell’intera famiglia, in media, le entrate annue reali di casa, fra il 2006 e il 2010, sono diminuite di ben 880 euro.
In generale, quest’ultimo periodo legato alla crisi, ha influito sulle buste paga di tutti i lavoratori, ma ha penalizzato un po’ di più il Sud. Nel Centro-Nord del paese la riduzione media reale è stata di 46 euro, mentre nel Meridione e nelle isole il taglio è stato di 56 euro.

Le categorie / Forte sforbiciata per i dirigenti la perdita secca è stata del 13%    


Dieci anni fa stavamo tutti meglio: in termini di reddito reale la vita delle famiglie era più «ricca» rispetto a quella attuale. Anche in questo caso, a generare il crollo, sono stati soprattutto gli anni compresi fra il 2006 e il 2010, testimoniando che l’andamento delle buste paga, nel Paese, ha preceduto quello della crisi economica. Il prezzo più alto, secondo la Relazione annuale della Banca d’Italia, è stato pagato dalle famiglie operaie: fra il 2006 e il 2010 il loro reddito medio annuale ha subito un crollo dell’8,5 per cento, il taglio è stato di 1.236 euro scendendo a poco più di 13 mila euro. Non che ai dirigenti sia andata bene: anche loro, negli ultimi anni, hanno subito una diminuzione nel potere d’acquisto che sulla carta risulterebbe superiore a quello degli operai. La perdita secca, per loro, ha superato il 13 per cento, passando da oltre 43 mila euro anni, a poco più di 38 mila. Nei fatti però hanno potuto contare su disponibilità  maggiori e nel quadro complessivo del decennio, al di là  degli ultimi quattro anni, il loro reddito risulta in crescita. In scivolata anche i lavoratori autonomi: fra 2006 e 2010 hanno visto scendere il loro potere d’acquisto del 9 per cento. L’unica certezza delle famiglie sembra riposta nei nonni che negli anni della crisi hanno visto aumentare i loro redditi medi da pensione del 3,3 per cento.

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