Nella città  cancellata dal Mar Nero in tempesta “Ci hanno sacrificati per salvare il petrolio”

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 KRYMSK n— La valanga assassina viene da un laghetto artificiale con 8 milioni di metri cubi d’acqua. Si trova a due passi da questa cittadina del Grande Caucaso che tutti i russi conoscono come il “granaio” del Mar Nero. Un’immensa pianura avvolta da campi di girasoli, da boschi di faggi, pioppi, cipressi e riscaldata dai venti caldi che soffiano da sud.
Sotto una pioggia battente che cadeva da 18 ore, venerdì notte qualcuno ha armato la mano del killer e ha rovesciato verso trentamila case una cascata che ha travolto e ucciso 171 persone ancora immerse nel sonno.
Un uomo a torso nudo, le gambe incrostate dal fango, avanza con le braccia alzate verso il cielo. Ondeggia in mezzo alla stradina dissestata, invasa da alberi e tronchi, l’asfalto sollevato, un autobus piegato su un fianco. Ha gli occhi rossi, il viso rigato da lacrime miste alla pioggia che ancora cade a scrosci. Si butta in ginocchio, urla la sua
rabbia. «Ci hanno ucciso, hanno distrutto tutto: case, campi, orti, negozi». Riprende forza, ci trascina verso la sua dacia. La dacia dei poveri, quella che ogni russo si costruisce nella vita: due stanzette, un cucinino, un bagnetto, un salotto. Le mura, in legno pietre e lamiere, sono sventrate. Mezzo metro di fango impedisce l’ingresso. Aleksey ci porta sul retro: «Anche l’orto è invaso dal fango. Non abbiamo più nulla da mangiare».
Ci sono centinaia di famiglie che vagano stordite e rassegnate. La stradina parte dal fiume
Kuban che dà  il nome alla regione. Adesso l’acqua scorre bassa e veloce. Ma venerdì notte l’alveo, profondo sette metri, si è gonfiato di colpo. L’onda è scesa a valle come una valanga: è esplosa come una bomba e ha raggiunto, quattro chilometri
dopo, il centro di Krymsk devastando il mercato. La forza dell’onda si è abbattuta sulle case, è salita fino a due metri. «Ci ha salvato nostro figlio», spiega Anna con voce concitata. Si alza sulle punte, sul muro indica la linea scura del fango. «Ci ha urlato di uscire. Era impossibile. Abbiamo rotto i vetri, siamo scappati dalla finestra. Qui a fianco c’erano tre donne. Sono tutte morte». La casa vicina non ha più forma. Un cumulo di travi di legno e pietre in mezzo ad un pantano. Fango e detriti ovunque. Assieme a macchine, trattori, moto,
biciclette, carcasse di animali. Trascinati nei campi, dietro gli orti, gli alberi: punteggiano i terreni che sembrano acquitrini.
Lo sanno tutti e adesso lo denunciano con forza. Non hanno più paura. Puntano il dito sul laghetto di Neberdzhaevskoe: uno dei quattro bacini artificiali che sovrastano trenta chilometri di pianura. «C’era troppa acqua, rischiava di tracimare». Avrebbe sommerso Novorossysk. Bisogna salvarla. C’è il porto, il secondo più grande terminal del petrolio al mondo. È stato subito bloccato, adesso ha ripreso
a funzionare. «Hanno aperto le chiuse, hanno dirottato l’acqua ». Hanno sacrificato Krymsk: il male minore. Nessuno ha avvertito la popolazione. «Tutti abbiamo capito che c’era qualcosa di strano», ricorda Nicolay. Gli altri attorno annuiscono. «Alle 23 hanno staccato la luce. Siamo rimasti al buio. Tre ore dopo si è sentito il boato e poi l’inferno». Su 171 vittime, 159 sono state raccolte lungo questa stradina. Ma si stima che saranno almeno 200. Molti sono ancora sepolti sotto il fango. Si sono salvati solo i più forti. Gli altri sono affogati. Le autorità  regionali hanno negato per un giorno, accusavano la pioggia eccezionale. Ma gli esperti della Commissione d’indagine li hanno costretti ad una verità  che ha fatto infuriare lo stesso Putin. «Andremo fino in fondo», ha promesso il leader del Cremlino. La morte è arrivata dal bacino. Una decisione scellerata che il nuovo e vecchio presidente non può coprire. Oggi la Russia sarà  a lutto. Il Mar Nero significa vacanze e turismo. Ma anche le Olimpiadi di Soci nel 2014. Miliardi investiti. Che il discusso governatore Alexander Tkaciov ha gettato nel fango in una notte.


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