NASCE A OLIMPIA IL MITO DI PISTORIUS

by Editore | 24 Luglio 2012 7:56

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È stato un paralimpico a fondare le Olimpiadi. Il suo nome è Pelope ed è il Pistorius dell’antichità . L’eroe greco e l’atleta sudafricano, separati da tremila anni di storia, hanno in comune il fatto di gareggiare con una protesi artificiale. In realtà  le avveniristiche leve in fibra di carbonio del velocista di Johannesburg più che una rivoluzione sono la riaffermazione dello spirito olimpico delle origini. Il mito delle Olimpiadi, infatti, inizia proprio con la corsa leggendaria di quello che oggi chiameremmo un diversamente abile. Perché ha una spalla d’avorio che gli è stata trapiantata da Zeus in persona, il re degli dèi, per sostituire quella che il ragazzo ha perso in un incidente domestico. Ma la crudele necessità  aguzza l’ingegno di Pelope. E soprattutto esalta il suo spirito agonistico. Al punto da spingerlo a sfidare l’invincibile Enomao nella corsa dei carri, una disciplina dove la forza delle braccia è decisiva. Quanto quella delle gambe lo è nell’atletica leggera. La vittoria va, inutile dirlo, allo sfidante, al termine di un rush esaltante immortalato da un cronista d’eccezione come Pindaro, uno dei più grandi poeti di sempre. E i preparativi della mitica volata sono ritratti sul frontone orientale del tempio di Zeus a Olimpia. Vite parallele. Se Pelope è il Pistorius dell’antichità  è vero anche che Pistorius è il Pelope della modernità . In questo senso il mito anticipa sempre gli scenari del presente e ci fornisce una chiave per interpretarlo. Infatti il significato profondo dei giochi, ora come allora, sta tutto nello sforzo che l’uomo fa per superarsi. È questa la morale della favola del giovane trapiantato da Zeus. Ed è ancora questa la morale della storia del velocista senza gambe che chiede la rivincita al destino.
Ecco perché le immagini del campione paralimpico che debordano dagli schermi tv e dilagano in internet hanno in realtà  il loro pixel originario, il loro fotogramma zero, nel racconto di fondazione delle Olimpiadi. Gara riservata ad eroi e semidei, a individui in grado di spostare in avanti le lancette del possibile, e perfino di riscrivere i confini del corpo, di modificarne natura e fisiologia. Non a caso i giochi hanno il loro climax nel momento in cui un atleta oltrepassa limiti considerati invalicabili. Noi li chiamiamo record. Una parola che anche etimologicamente ha in sé il senso della novità  straordinaria. E al tempo stesso quello del ricordo di un’impresa memorabile. Spesso alle soglie dell’impossibile. L’apparizione del futuro che diventa subito passato da cui far ripartire la storia. Come fa Kyniska, l’emancipatissima atleta spartana che ben quattrocento anni prima di Cristo irrompe a sorpresa nello stadio olimpico stracciando gli avversari e sconfiggendo i pregiudizi di un mondo maschilista fino ad allora off limits per le donne. In questo senso gli atleti da primato sono sempre dei fondatori. Persone in gara con gli altri, con se stessi e con il mondo. Icone del nuovo che avanza. Sulle spalle di Pelope. O sulle ali di carbonio di Oscar Pistorius.

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