Narrazioni nell’era dei «media-mondo»

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Stati di connessione è il titolo di un recente libro dello studioso dei media Giovanni Boccia Artieri (Franco Angeli, pp. 175, euro 22). Ma cosa sono gli «stati di connessione»? Per Boccia Artieri si tratta di stati che creano all’interno della cultura sociale ambienti mediatizzati, ambienti cioè che presuppongono una logica non dicotomica e di non contrapposizione. Si tratta dunque di un concetto formulato dallo studioso per spiegare gli effetti sociali esercitati dai media contemporanei. Un tentativo ambizioso ma inevitabile se si vuole comprendere almeno in parte i poderosi processi di cambiamento che i media producono nelle nostre esistenze. 
Se gli «stati di connessione» escludono dicotomia e contrapposizione, diventa inevitabile ripensare le categorie con cui le scienze sociali hanno tradizionalmente interpretato i conflitti. Come afferma Boccia Artieri, non si tratta di espellere dall’analisi teorica il conflitto, ma di tenere conto del mutamento sopravvenuto nella sua natura. Si pensi, ad esempio, che strumenti di comunicazione come blog e social network stanno modificando la tradizionale distinzione tra privato e sociale: essi infatti evidenziano che è possibile essere pubblici all’interno di uno spazio di natura privata perché di proprietà  di un’azienda e che, nello stesso tempo, si è in grado di difendere la propria privacy in uno spazio pubblico attraverso il controllo dei meccanismi di condivisione. 
Boccia Artieri si riallaccia alle analisi di autori classici, da Benjamin a McLuhan, ma soprattutto alla prospettiva mediologica sviluppata da Régis Debray. Riprende inoltre Henry Jenkins, un autore che ha contribuito a far conoscere in Italia, e Manuel Castells, il cui celebre concetto di «Network Society» diventa «(Social) Network Society», data l’importanza che i social network rivestono nelle società  contemporanee. Da questi autori Boccia Artieri ricava l’idea che i media vadano intesi non come semplici strumenti di comunicazione, ma come ambienti e mondi, cioè – riprendendo una tesi esposta nel precedente I media-mondo – come luoghi dove le persone vivono gran parte della loro esperienza quotidiana e devono pertanto sviluppare e gestire le loro identità  personali. 
Poiché tali luoghi sono pubblici, gli individui, con le loro pratiche, danno vita a meccanismi riflessivi collettivi e producono (e fanno circolare) forme simboliche in cui si riconoscono. Per Boccia Artieri, quindi, si possono considerare come parte di «pubblici connessi», cioè di pubblici che si trovano in una condizione di connessione permanente. Ma se di pubblici connessi si tratta, non ci troviamo più di fronte a spettatori passivi, bensì a spettatori consapevoli di essere tali e soprattutto di esserlo in pubblico.
Le pratiche espressive degli individui, in precedenza, erano per lo più relegate all’ambito domestico, perché a dominare il campo erano principalmente le pratiche dei media professionali. Ma oggi l’accesso sempre più ampio a strumenti digitali e a reti di connessione sta modificando la situazione. E i soggetti sono sempre più abili nell’uso dei modelli comunicativi sviluppati dall’industria culturale novecentesca – soprattutto dei modelli relativi ai processi di costruzione delle celebrità , i quali ora si generalizzano e si quotidianizzano. E diventano pertanto per gli individui strumenti di sopravvivenza nei contemporanei «stati di connessione».
Ciò è reso possibile anche dallo sviluppo di una convergenza tra i diversi media che facilita l’incontro tra i flussi di contenuti mediatici e una crescente circolarità  tra la cultura delle grandi imprese culturali globali e la cultura proveniente dai consumatori. Si apre dunque lo spazio per vere e proprie forme di «narrazione transmediale», nelle quali ad esempio gli elementi di una fiction vengono dispersi su più canali di distribuzione dei messaggi, naturalmente sfruttando al meglio le specificità  comunicative di ogni singolo medium. Così una storia può essere lanciata da un film e venire poi ripresa e ampliata da romanzi, videogame, fumetti, fiction tv. E può naturalmente integrare all’interno dei singoli testi anche contributi provenienti dai consumatori oppure stimolare delle rielaborazioni da parte di questi ultimi (fan fiction, fan fiction trailer, fan art, parodie, ecc.). Occorre però chiedersi se tutto ciò è ancora narrazione e se tale dispersione continua del racconto non faccia smarrire a quest’ultimo la sua compattezza e dunque anche la sua identità .
Così come, più in generale, occorre chiedersi se le numerose pratiche sviluppate «dal basso» siano effettivamente considerate significative dall’industria culturale o non siano piuttosto costrette a operare come i testi provenienti dagli spettatori che spesso oggi passano sotto le immagini dei programmi televisivi – qualcosa cioè al quale è concesso uno spazio limitato e che non intacca minimamente il messaggio principale. È talmente elevata infatti la differenza esistente in termini di risorse economiche e tecnologiche tra le imprese culturali e i consumatori che, anche se costoro si aggregano in comunità  di tipo partecipativo, le numerose pratiche «dal basso» presentate e descritte da Boccia Artieri sono probabilmente destinate a incidere oggi come domani in misura molto modesta sui processi economici e sociali che contano.


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