Morsy e i militari, il flirt è finito
Si annuncia una giornata carica di tensione al Cairo dove oggi, dopo il decreto emesso due giorni fa dal presidente neo eletto Mohammed Morsy, dovrebbe riunirsi l’Assemblea del Popolo, la Camera bassa del Parlamento egiziano, dichiarato illegittimo il mese scorso dalla Corte Costituzionale. È la sfida che il capo dello stato e i Fratelli musulmani lanciano alla Giunta militare che pare decisa ad allungare i tempi della transizione post-Mubarak fino allo svolgimento delle nuove elezioni legislative e all’approvazione della nuova Costituzione.
La convocazione della seduta di oggi dell’Assemblea, fatta dallo speaker Said Katatni, si scontra anche con il comunicato giunto ieri pomeriggio proprio dalla Corte Costituzionale nel quale si respinge la decisione di Morsy. «Tutte le sentenze (della Corte, ndr) sono finali e inappellabili», ribadiscono i massimi giudici egiziani, aprendo la strada a un conflitto istituzionale che potrebbe avere conseguenze devastanti.
La tensione ieri era molto alta nella capitale. Scontri sono esplosi di fronte alla sede del Parlamento. Gli oppositori di Morsy e dei Fratelli musulmani minacciano di impedire oggi l’ingresso di qualunque parlamentare voglia partecipare alla seduta, minaccia che ha fatto infuriare i sostenitori del presidente. Senza dimenticare che la sede del Parlamento è controllata da polizia ed esercito che bloccano il passaggio a chiunque.
Il passo compiuto dal presidente conferma la fine del flirt andato avanti per mesi, lo scorso anno, tra i Fratelli musulmani e i militari al potere. Lo scontro ora è aperto, anche se ieri mattina Morsy e il capo del consiglio delle forze armate, Hussein Tantawi, sono apparsi in diretta tv insieme e si sono stretti la mano. Per i Fm l’annullamento delle elezioni è un «golpe morbido», volto a negare la vittoria netta ottenuta dagli islamisti alle legislative che si sono tenute tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. La maggioranza dei seggi del Parlamento è finita nelle mani dei Fratelli Musulmani, dei salafiti e del partito islamista centrista Wasat: 233 seggi in totale, pari a circa il 75%, più altri 166 seggi attribuiti con il sistema maggioritario. Un successo ampio e clamoroso che la Corte Costituzionale ha annullato a metà giugno perché, secondo i giudici, l’elezione di un terzo dei parlamentari era stata illegale. In particolare, a finire nel mirino della Corte erano stati gli articoli della legge elettorale che prevedevano il metodo maggioritario per l’elezione di un terzo dei deputati. Una sentenza che aveva portato allo scioglimento dell’intero parlamento egiziano, anche se – come sottolineato il mese scorso dal vicepresidente della Corte, Maher Sami – le leggi già approvate sarebbero rimaste in vigore. I militari si erano prontamente ripresi i poteri legislativi.
Quali manovre ci siano dietro la sfida lanciata da Morsy all’esercito, non è ancora del tutto chiaro. È però riconosciuto da tutti che i Fratelli musulmani non hanno alcuna intenzione di lasciare campo libero ai militari che, temono, lavorano per negare la vittoria agli islamisti.
Tuttavia anche diversi oppositori storici del passato regime (Mubarak) e tra i critici della giunta delle forze armate, non manca chi contesta la decisione del presidente. Il premio Nobel per la pace, Mohamed El Baradei, ha condannato la mossa di Morsy, definendola una minaccia all’autorità giudiziaria interna. Secondo El Baradei, il decreto presidenziale «ha spinto l’Egitto in un coma costituzionale e nel conflitto tra i diversi rami dello Stato».
Morsy però si sente più forte rispetto a qualche giorno fa. Sa di avere anche il sostegno di Washington. Gli Usa, con un cambiamento netto rispetto ai mandati dell’ex presidente George Bush, aprono alla Fratellanza islamica e indicano nuovi rapporti tra gli islamisti egiziani e l’Occidente. Barack Obama ha inviato un messaggio al neo presidente egiziano, assicurando la volontà americana di stringere una nuova collaborazione con l’Egitto. Il primo incontro tra i due dovrebbe tenersi alla riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il prossimo settembre. Washington non teme più l’ascesa al potere dei partiti islamisti seguita alla «primavera araba». Gruppi considerati ostili per anni ora non appaiono più in conflitto con gli interessi politici ed economici degli Stati Uniti in Nord Africa e Medio Oriente.
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