by Editore | 9 Luglio 2012 5:18
AIX EN PROVENCE — Sfila un foglietto stropicciato dalla tasca, mette a fuoco le date che ha appuntato con cura, poi inizia l’elenco di quella che chiama una «lunga serie», che ritiene non più tollerabile: «A fine marzo la Marcegaglia aveva detto alla stampa internazionale che la riforma del lavoro era pessima, il 19 giugno Squinzi ha detto che la riforma del lavoro è — cito — “una boiata”».
Si fa quasi la domanda da solo Mario Monti: gli chiedono delle critiche, generiche, all’operazione di spending review; lui risponde quasi esclusivamente alle dichiarazioni del presidente della Confindustria. E non le manda a dire: «Ieri il medesimo presidente Squinzi si è associato ai commenti di un leader sindacale nel sottolineare i rischi di macelleria sociale e ha poi dato un voto al governo. E poi ha dichiarato che gli sembra pericoloso che l’Italia si avvii a realizzare il pareggio di bilancio nei tempi che il precedente governo aveva già fissato».
Ebbene, prosegue Monti, come se parlasse direttamente alle imprese, per sottolineare le contraddizioni del loro presidente: «Dichiarazioni di questo tipo, come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito ma anche delle imprese, e quindi invito a non fare danno alle imprese». E se non è stato chiaro, vale la pena di ribadire meglio il concetto: «Invito a considerare che dichiarazioni di questo tipo da parte di personalità istituzionali ritenute responsabili hanno effetti molto rilevanti nei mercati e quindi suggerirei di fare più attenzione, non tanto nei riguardi del governo, che evidentemente non lo merita a giudicare da ciò che viene detto, ma verso le imprese».
La sera prima, a cena, si era già sfogato. Trovando «inspiegabili», anche «irresponsabili», le parole di Squinzi. «Ho fatto delle cose senza precedenti, che gli imprenditori chiedono da anni, e mi tocca venire giudicato con un’insufficienza!». Davanti ai cronisti e alle telecamere, appena conclusa una conferenza all’università di Monteperrin, cerca di proposito l’argomento: «Avevo capito che le forze produttive migliori desiderassero il contenimento del disavanzo pubblico e che obiettassero a manovre fatte in passato molto basate sull’aumento delle tasse, e che era ora di incidere su spesa pubblica e strutture dello Stato. Ma evidentemente avevo capito male».
La reazione del presidente del Consiglio era preparata, studiata con lo staff. Al termine di una conferenza sul futuro dell’Europa, assieme a economisti francesi, americani, del Fondo monetario internazionale, è lui stesso a fissare un punto stampa con i giornalisti presenti. Poche considerazioni sulla Ue, si è appena tolto qualche sassolino dalle scarpe davanti agli studenti della Provenza (se in Germania «si continua a pensare con il metro del breve periodo l’intera costruzione europea perde equilibrio»), poi la critica dura alle dichiarazioni del presidente di Confindustria.
Appena pochi giorni fa, alla conclusione del Consiglio europeo, era riuscito a mantenersi in un binario diplomatico, ammettendo di dover trovare «la giusta moderazione» nel commentare le parole di Squinzi, almeno sulla riforma del lavoro. Ieri invece ha scelto un registro diverso: «Non c’è dubbio che questo signore ha passato il limite, e in questo modo fa danno sia al Paese che alle stesse aziende che dovrebbe tutelare», riassumono nello staff.
Ma non solo questo stupisce: per la prima volta il premier parla in modo aperto del rischio che la politica italiana rappresenta agli occhi dei mercati finanziari. «Non c’è ancora piena credibilità nei meccanismi a supporto dell’Eurozona e, forse, nel caso dell’Italia c’è anche incertezza su quello che succederà nella governancedell’economia, o detto altrimenti nella politica italiana dopo le elezioni».
«Spero — aggiunge Monti — che l’Italia riesca a dimostrare presto con le riforme politico-istituzionali che il ritorno al normale processo elettorale sarà pienamente compatibile con la continuità delle politiche che l’Europa sta apprezzando».
È un argomento che in privato ha affrontato la sera prima, legando il discorso all’ipotesi che la sua esperienza politica possa non concludersi con le elezioni del prossimo anno. Oggi sarà a Bruxelles, per negoziare parte dei dettagli tecnici del meccanismo anti-spread. Sull’argomento, davanti alle telecamere, si limita a dire che «l’aumento degli spread dopo il vertice Ue è dovuto anche a dichiarazioni, inappropriate, di autorità di Paesi del Nord che hanno ridotto la credibilità delle decisioni prese dal Consiglio Ue». Mentre di dichiara d’accordo con l’analisi fatta nell’intervista al Corriere dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: «Duecento punti di spread con i titoli tedeschi sarebbe un livello adeguato».
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