“Manterremo le promesse o saremo puniti” ecco il memorandum che ha convinto Berlino

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BRUXELLES IL DIFFICILE slalom del Professore, alla guida di un Paese “too big to fail”, troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per poter ricorrere allo striminzito salvagente dei prestiti europei, ha superato un’altra porta. Ma è ancora lontano dal traguardo. Dopo una serata di discussioni accese, Monti è riuscito a ottenere la conferma da parte di tutti i governi della zona euro «senza eccezioni» che lo scudo anti-spread potrà  essere attivato evitando di sottomettersi a condizioni più dure di quelle contenute nelle raccomandazioni della Commissione europea, che fanno comunque parte integrante della nuova governance economica della zona euro.
Non era certo un risultato garantito. Dopo il vertice del 28 giugno, in cui l’Italia era riuscita a far passare il principio del meccanismo anti-spread, molti governi avevano cominciato a fare marcia indietro. La Merkel aveva sostenuto che l’intervento sui mercati avrebbe dovuto comunque passare per un esame preventivo della troika. Il premier finlandecome se e quello olandese avevano minacciato di mettere il veto all’utilizzazione dello scudo. I tassi sui titoli di debito, dopo una settimana di bonaccia, erano tornati a salire.
Per questo motivo Monti ha voluto venire personalmente alla riunione dell’Eurogruppo cominciata lunedì pomeriggio. E nella sala del Consiglio ha posto con forza il problema della coerenza tra le decisioni «unanimi» dei capi di governo, e le dichiarazioni contraddittorie che le hanno seguite e che ne hanno in parte vanificato l’effetto. Una battaglia in cui ha trovato il sostegno, oltre che della Francia e della Spagna, anche della Commissione e della stessa Bce. E i «falchi» hanno dovuto piegare la testa e ritirare le riserve che avevano tardivamente rispolverato.
Ma dietro il successo di questa controffensiva italiana, ci sta un paziente lavoro di convinzione nei confronti della Cancelliera.
La Germania, si sa, condivide la preoccupazione dei mercati sul dopo-Monti e sulla credibilità  del sistema politico italiano. Per questo motivo avrebbe voluto che Roma, prima delle prossime elezioni, assumesse qualche tipo di impegno vincolante che obblighi il Paese a mantenersi sulla via del rigore e del risanamento imboccata da questo governo, indipendentemente da quale sarà  il risultato del voto di primavera.
L’opera di convincimento di Monti è stata tutta puntata sul fatto che anche il ricorso al meccanismo anti-spread comporta una pesante condizionalità  perché richiede il pieno rispetto delle raccomandazioni specifiche che la Commissione e l’Ecofin indirizzano a ciascun Paese. Raccomandazioni che, come ha ricordato ieri il presidente del Consiglio, «sono ormai diventate molto dure e hanno suscitato le proteste di quattro o cinque governi, mentre noi le abbiamo accettate e le rispettiamo». Nel momento in cui l’Italia farà  ricorso al Fafa, dovrà  sottoscrivere un memorandum in cui si impegna a rispettare le raccomandazioni e a non incorrere nelle procedure di infrazione della Commissione. E questo impegno sarà  vincolante anche per i governi che verranno dopo le elezioni. Se il prossimo parlamento dovesse, per ipotesi, venir meno a quei vincoli, il Paese non potrebbe più usufruire del sostegno dello scudo antispread sui mercati, e sarebbe costretto a ricorrere ad un prestito
hanno fatto Grecia, Irlanda e Portogallo, sottoponendosi al controllo e ai diktat della troika. Questo ragionamento ha evidentemente convinto Angela Merkel. Un ripensamento facilitato dalla considerazione che, se l’Italia non venisse aiutata a salvarsi da sola e dovesse ricorrere al prestito dell’Esm, la dotazione del fondo si rivelerebbe subito insufficiente e la Germania sarebbe chiamata a sborsare cifre proibitive perfino per il bilancio tedesco.
Anche sul fronte delle banche, cruciale per la salvezza della Spagna e in prospettiva di tutta l’eurozona, Berlino ha dovuto venire a più miti consigli. Mentre il ministro tedesco Schauble annunciava «tempi lunghi» per varare il sistema di vigilanza unica che aprirà  la strada al finanziamento diretto delle banche e all’Unione bancaria, ieri la Commissione e la Banca Centrale, spronate da Spagna, Francia e Italia, hanno deciso di agire in tempi brevi. La supervisione affidata alla Bce dovrà  essere operativa per fine anno. E a quel punto, forse, si potrà  spezzare il circolo vizioso che lega la crisi dei debiti sovrani a quella del sistema finanziario europeo.


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