by Editore | 27 Luglio 2012 9:05
ROMA — No alla violenza del regime e dei ribelli, sì a una immediata soluzione politica che faccia uscire la Siria dalla sua drammatica spirale di violenza. È l’appello di 17 importanti esponenti dell’opposizione siriana scaturito ieri da un’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio a Roma. L’appello è stato firmato da ben 11 sigle di opposizione e della società civile che operano in Siria (tra cui il Consiglio di Coordinamento Nazionale, il Forum Democratico e la Coalizione Watan) e che, raggruppando diversità religiose ed etniche, hanno un dogma in comune: «Le armi non sono la soluzione». Sì, invece, a una transizione politica, concertata fra regime e opposizioni. Il messaggio è chiaro: sia le truppe di Assad che l’Esercito Siriano Libero e le bande più estremiste devono deporre immediatamente le armi per avviare un negoziato pacifico.
«Non è una terza via», precisa il presidente della comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, «bensì la volontà della “maggioranza senza voce” del popolo siriano». L’appello si basa sulla salvaguardia «dell’equilibrio della convivenza» delle varie anime della Siria, oggi minacciato dalla dilagante violenza nel Paese. Ma come arrivare a un accordo simile dopo il fallimento del piano Annan? Secondo
Abdulaziz al Khayer, fondatore del Consiglio di Coordinamento Nazionale, le opposizioni sono pronte a un dialogo con il regime, «ma senza coloro che si sono sporcati le mani di sangue». «Fondamentale», secondo Al Khayer, «sarà il ruolo della Russia»: «se convincesse Assad a lasciare», dice Michel Kilo, uno dei più famosi intellettuali e dissidenti cristiani in Siria, «sarebbe la svolta». Tutti, da Kilo allo storico avversario del regime, Haytam Manna, fino a Samir Aita, direttore di Le Monde Diplomatique in arabo, concordano su un altro punto: il Consiglio Nazionale della Siria, l’organo delle opposizioni all’estero, «non rappresenta il popolo siriano e non ha il diritto di chiedere interventi militari stranieri o permettere l’ingresso di armi nel Paese».
Un governo di transizione che «metta fine alla tragedia» è anche la soluzione indicata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi, a colloquio ieri al Cairo con il presidente egiziano Morsi.
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