by Editore | 19 Luglio 2012 8:29
ROMA — «Mossa del Quirinale contro le toghe, si vuole isolare la Procura di Palermo». «Quella scelta mortifica le istituzioni, ai giudici diciamo: resistere, resistere, resistere». «Il Colle è in pieno conflitto di interessi… e impedisce l’accertamento della verità ». «Agli spiragli di verità si cominciano a frapporre ostacoli dai più alti livelli». «Che cosa si vuole nascondere?».
Sono state frasi come queste a far indignare ieri Giorgio Napolitano, lasciandolo umiliato e naturalmente offesissimo. Accuse di una enormità assoluta, perché mirate a suggerire addirittura l’idea che la massima istituzione del Paese abbia lavorato, oppure ne sia stata tentata, per proteggere qualche protagonista o comprimario oggetto dell’inchiesta palermitana, con l’obiettivo di riportare il buio sulla trattativa Stato-mafia. Un attacco concentrico — politico e mediatico, con Antonio Di Pietro e Il Fatto Quotidiano in trincea — al quale il presidente della Repubblica per il momento si impone di non replicare, per quanto gli costi una gran fatica. Perché, da quando ha sollevato il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale per essere stato intercettato (sia pure indirettamente), ha le mani in qualche modo legate.
Infatti, querele per avviare un’azione penale non ne può fare per una sorta di inopportunità (valida non in assoluto, beninteso, e tuttavia pesante come una specie di corollario al negativo della «irresponsabilità » con cui la Costituzione lo blinda), mentre invece altri potrebbero avviarla a tutela sua e dell’istituzione che incarna. E anche scendere al livello dei suoi detrattori, accettando un botta e risposta destinato a trascinarsi all’infinito, deve sembrargli sconsigliabile. Se non altro per decoro.
Così, a fotografare gli umori di queste ore al Quirinale è il portavoce Pasquale Cascella, con un tweet sull’accountche porta il suo nome: «Leggo gravi espressioni diffamatorie nei confronti di Napolitano alle quali il presidente non può purtroppo reagire». Per quanto siano state scritte da Cascella a titolo personale, quelle poche battute segnalano la tensione che deve vivere il capo dello Stato davanti a una precisa ipotesi di reato di cui è vittima — la diffamazione aggravata — e alla propria provvisoria impotenza.
Provvisoria perché non è detto che Napolitano rinunci a qualche intervento per arginare gli effetti della campagna in corso. Le occasioni per farsi sentire non gli mancheranno. La prima l’avrà già oggi, magari con un cenno tra le righe di un messaggio per l’anniversario della strage di via D’Amelio, nella quale venne assassinato il giudice Borsellino con la scorta. La seconda domani, alla cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare e con i quirinalisti.
Intanto, c’è chi ha interpretato come una replica indiretta all’Idv il suo saluto di ieri a un convegno di costituzionalisti. «Il campo di ricerca in cui operate dovrebbe rappresentare il terreno di formazione della classe dirigente, se non si vuole che la politica scada a esercizio dilettantesco che pretende di trarre la sua validità dal consenso elettorale ottenuto e, in sostanza, è funzionale alla conquista ulteriore di consenso elettorale».
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