«Mia madre costretta a fare il tifo dalla cella»

by Editore | 2 Luglio 2012 7:11

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KIEV — A 500 chilometri dalla tribuna d’onore dello stadio Olimpico di Kiev e dai fasti della finale di Euro 2012, Yulia Tymoshenko ha guardato la partita Italia-Spagna alla tivù, in compagnia solamente delle guardie che non abbandonano mai la sua stanza, al quarto e ultimo piano dell’Ukrzalinytsia n. 5, l’ala grigia della clinica di Kharkiv dove è ricoverata dal 9 maggio scorso. Le piace il football, anche se da quando l’Inghilterra ha eliminato l’Ucraina, ha smesso di affidare messaggi esultanti da inserire nella sua pagina web, a sostegno di Shevchenko e compagni. Forse avrebbe tifato per la Germania, se fosse arrivata in finale, ma tra Italia e Spagna non aveva preferenze.
Le ultime notizie nel suo sito riguardano le battaglie in aula contro la sua condanna a sette anni di carcere per abuso d’ufficio, corruzione ed evasione fiscale; e in ospedale tra le diverse fazioni mediche. 
«Non la vedo da una settimana, ho dovuto viaggiare per sostenere la sua causa e non sono riuscita ad andare da lei — la voce esausta della figlia Ievghenia, Eugenia, al telefono racconta la triste routine della detenuta Yulia —. La sua domenica non è diversa da tutte le altre giornate: iniziano al mattino presto con i controlli medici. Dei dottori tedeschi, gli unici di cui lei possa fidarsi, perché quelli ucraini lavorano sotto la pressione del governo al potere. In pomeriggio può scrivere, lavorare, leggere o guardare la tivù. Ma non sono ammesse visite. Può ricevere soltanto i suoi avvocati, oltre a me, e alcuni esponenti politici».
Le telecamere seguono ogni suo movimento: «Ventiquattr’ore su ventiquattro, senza mai lasciarle un minuto di intimità . Tutto viene registrato, ogni colloquio, ogni incontro — riferisce Eugenia —, e a monitorarla giorno e notte sono guardiani, uomini. Non guardiane. Il che è illegale». 
Niente telefonate, niente email, neanche alla figlia. La posta cartacea sì, è permessa, ma censurata dall’autorità  penitenziaria: «Le è negato qualunque tipo di comunicazione, per telefono o per Internet, anche se la legge lo consente a chi ha già  subito una condanna. Molti sono autorizzati a chiamare la famiglia. Non lei».
Ma anche se non hanno potuto vedere o commentare insieme la finale degli Europei, Eugenia interpreta facilmente i sentimenti della madre: «Si sente defraudata, come si può ben comprendere. In tanti dovrebbero esserle grati per il conferimento del torneo all’Ucraina da parte della Uefa. Era stato un successo suo e di tutte le forze democratiche del paese. Mia madre ci credeva. Si era battuta nella convinzione che le celebrazioni sportive avrebbero permesso agli ucraini di rendersi conto del loro potenziale, delle loro possibilità  di sviluppo, della nuova immagine che avrebbero potuto offrire al mondo. Invece questo Europeo si è trasformato nella vetrina del regime. È molto triste, tutto ciò, per lei».
I riflettori, però, si sono accesi anche sulle complesse vicende giudiziarie dell’ex premier ed ex leader della Rivoluzione Arancione: «Vero, ma a livello nazionale l’attenzione si sta già  affievolendo, per questo mia madre chiede ai capi di governo europei, ai politici, alla comunità  internazionale di non allentare la pressione».
Ai politici, ucraini e stranieri, autorizzati a incontrarla, Yulia Tymoshenko chiede sempre di indagare anche sulla organizzazione degli Europei da parte del governo e del suo entourage: «Sono costati 15 volte più di quanto preventivato nel 2007 — è il suo calcolo —, buona parte del denaro è finito indebitamente nelle tasche di personaggi coinvolti nei preparativi. La comunità  internazionale dovrà  alla fine identificare i responsabili».
La partita di Yulia non è ancora chiusa.

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