«Meno tasse per tutti, tranne i ricchi»
NEW YORK — La campagna presidenziale americana si vincerà sull’economia. Ieri, infatti, alla Casa Bianca il presidente Barack Obama ha presentato la proposta (al Congresso) che sarà la base sulla quale imposterà la battaglia per essere rieletto il prossimo novembre. Chiede che i tagli alle tasse effettuati dalla amministrazione precedente (George Bush), che scadono con il 2012, vengano prolungati di un anno ma solo per le classi medie, «per il 98 per cento di americani che guadagnano meno di 250 mila dollari» all’anno — ha spiegato. Gli altri, i più ricchi, sarebbero esclusi dal beneficio di cui godono oggi: detto in altri termini, per loro si tratterebbe di un aumento delle tasse.
Obama parlava circondato da sostenitori e giornalisti arrivati a Washington da sei Stati che saranno decisivi per la sua rielezione. «Se non aumentassimo il contributo delle persone facoltose — ha detto — nei prossimi dieci anni mancherebbero mille miliardi» alle casse federali. Inoltre, ha sostenuto che quel due per cento di ricchi non creerebbe posti di lavoro anche se continuasse a godere di imposte più basse.
La proposta del presidente ha poche gambe per marciare: prima delle elezioni è molto improbabile che i democratici (che controllano il Senato) e i repubblicani (che controllano la Camera dei rappresentanti) si accordino su una materia di questa importanza, sulla quale hanno impostazioni lontane. In più, Obama incontrerà una certa resistenza anche tra i democratici. La leder di minoranza alla Camera, Nancy Pelosi, vorrebbe per esempio che il limite oltre il quale non potere beneficiare delle esenzioni fosse un milione di dollari (opinioni diverse su dove finisce la middle class). Sei senatori democratici, inoltre, hanno fatto intendere che non sarebbero contrari al semplice prolungamento dei tagli alle tasse per tutti, come Obama propose e ottenne nel 2010. Ciò nonostante, il presidente vuole presentarsi come il paladino delle classi medie e indicare i repubblicani come i difensori dei ricchi.
La questione in questo momento è insomma molto politica. E’ però importante. Se non passasse nessuna legislazione, le tasse aumenterebbero automaticamente per tutti: del tre per cento sul reddito per quella che Obama considera classe media e del 4,5 per cento per chi guadagna più di 388 mila dollari l’anno; oltre ad aumenti delle imposte sui dividendi, sui capital gain e sugli immobili. Se si tiene conto che con il 2013 dovrebbero scattare anche una serie di tagli alla spesa pubblica, all’economia americana potrebbero venire a mancare di colpo 600 miliardi, il quattro per cento del Prodotto lordo. E’ il fiscal cliff, il precipizio di bilancio, che spaventa economisti, politici e banchieri centrali di tutto il mondo.
Fatto sta che tutto questo, al momento, sembra poco rilevante: si dà per scontato che prima di novembre non si inizi nemmeno a discutere su quale compromesso trovare al Congresso. La proposta di Obama in fatto di tasse e quella del suo avversario nella sfida presidenziale, Mitt Romney, sono lontanissime: il candidato repubblicano vorrebbe abbassarle significativamente anche rispetto al livello attuale e per tutti, dai redditi più bassi a quelli più alti. Inoltre, molti repubblicani vorrebbero che i tagli dell’era Bush fossero prolungati di 12 mesi per tutti ma che ci si impegnasse già ora per fare del 2013 l’anno in cui il sistema fiscale verrà ridisegnato. Tutto sarà probabilmente deciso, in fretta e in modo pasticciato, dopo le elezioni: non sarà importante solo il nome di chi occuperà la Casa Bianca nei quattro anni successivi ma anche quali maggioranze usciranno dopo i rinnovi dei seggi in scadenza al Congresso.
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