«In Libia sta vincendo la libertà  contro chi la voleva divisa»

Loading

«L’alta percentuale dei votanti testimonia di una voglia di riconquistare la libertà  da parte del popolo libico. E questa partecipazione è già  di per sé un risultato importantissimo». A sostenerlo è lo studioso italiano che più e meglio di chiunque conosce ogni sfaccettatura della Libia: Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano, autore della biografia di Muammar Gheddafi: Gheddafi. Una sfida dal deserto, Laterza Editore.
In attesa dei risultati definitivi, qual è l’aspetto più significativo delle elezioni in Libia?
«Direi senz’altro l’alta affluenza alle urne. Si tratta di un risultato importantissimo perché da 42 anni in Libia non si votava e la voglia di riconquistare la libertà  è talmente diffusa che si è manifestata nel voto».
C’è chi temeva un voto segnato da incidenti e dal disordine.
«C’è lo temeva e chi se lo augurava, perché una Libia divisa, in preda al caos, con le sue ricchezze petrolifere a disposizione può far gola a molti, alcuni dei quali sono gli stessi che hanno deciso la guerra. Qualche disordine c’è stato, soprattutto in Cirenaica: l’abbattimento di un elicottero che trasportava materiale per le urne, l’uccisione di una persona, il tentativo in alcuni centri di impedire l’afflusso ai seggi. Ma tutto sommato le cose sembrano essere andate abbastanza bene anche se c’è ancora il problema delle fazioni in armi che non intendono essere disarmate. E questo sarà  un grosso problema per chiunque sarà  chiamato a governare il Paese».
I primi dati del voto sembrano indicare un successo dell’alleanza dei partiti laici a Tripoli e a Bengasi.
«Dati che la commissione elettorale, nel momento in cui parliamo, non ha ancora confermato: ragione in più per esercitare prudenza. Quanto ai primi dati ufficiosi, essi indicherebbero che gruppo di 60 partiti laici e di centro – su 140 partiti che hanno depositato la loro richiesta – avrebbero ottenuto, ma il condizionale è davvero d’obbligo, un risultato notevole, segno di un cambiamento che se non va enfatizzato non va neanche ritenuto un dato scontato».
Alla vigilia da più parti si paventava un successo dei partiti islamisti.
«In realtà  i Fratelli Musulmani non hanno mai avuto in Libia un grande seguito, e questo – dobbiamo riconoscerlo – anche perché Gheddafi aveva condotto una lotta spietata con questi movimenti che lui considerava estranei alla mentalità  libica».
Nel futuro della “nuova Libia” che peso avranno ancora le tribù?
«Direi un peso notevole. Ritengo che ancora per molti anni in Libia ci sarà  la divisione tribale. Non bisogna mai dimenticare che in Libia esistono più di 150 tribù, alcune delle quali hanno un peso enorme nella vita sociale, e in parte politica, del Paese. Pensare di cancellarle è semplicemente illusorio». Partendo dalla Libia ma allargando l’orizzonte ai Paesi del Maghreb, quale ruolo, a suo avviso, dovrebbe avere l’Europa, a cominciare dai Paesi – Francia, Italia, Spagna della sponda Nord del Mediterraneo?
«Dopo aver fomentato la guerra civile in Libia – soprattutto da parte di Sarkozy – l’Europa dovrebbe quanto meno non intervenire nelle vice politiche i questo Paese. Hollande mi sembra molto più cauto del suo predecessore, soprattutto riguardo l’Algeria. Quanto all’Italia, dovrebbe restare molto cauta, anche per i suoi trascorsi in Libia, e non mi riferisco, per intenderci, al lontano passato coloniale, ma a qualcosa di molto più recente, e vergognoso: mi riferisco ai campi di concentramento in cui venivano segregati i migranti somali, eritrei… L’Italia ha ancora molto fa farsi perdonare in quel martoriato Paese».


Related Articles

Città e riduzione del danno in Europa

Loading

Il convegno della rete EuroHRn in prospettiva di un consumo più sicuro, autodeterminato e centrato su competenze individuali e collettive in grado di proteggere da rischi e danni

Iran proibito commemorare le vittime della repressione

Loading

Per arginare i raduni funebri il regime oscura internet e manda i militari delle strade. Il dato di 1500 persone uccise durante le proteste forse diffuso per terrorizzare i manifestanti

Il nuovo presidente minaccia i tuareg

Loading

E i dirigenti dell’Azawad «indipendente» danno un mese di tempo alle milizie jihadiste per lasciare il paese

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment