l’Età  dell’Acciaio Genesi di un Caso

by Editore | 27 Luglio 2012 9:02

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A Taranto prima c’era il mare. È da lì, dai cantieri navali militari nati alla fine dell’800, su un vecchio disegno napoleonico, che la città  traeva tutto: dal sostentamento fino all’idea della propria conformazione. Fino alla crisi negli Anni 50. L’idea di riconvertire l’area in una Fiera del mare fallì per mancanza di imprenditori locali. Fu allora, nel 1959, che Taranto fu scelta per la nascita del Quarto centro siderurgico dall’Iri, che nel frattempo aveva nazionalizzato il settore. 
Subito si preparò l’area, abbattendo 20 mila alberi d’ulivo e molte antiche masserie, come ricorda Roberto Nistri nel libro L’età  dell’acciaio. L’area di 528 ettari era separata dalle abitazioni solo da una statale. I lavori dell’Italsider iniziarono nel 1961 e terminarono in cinque anni, mentre la popolazione aumentava di oltre 32 mila unità . A ottobre del 1964 il primo altoforno partì con una produzione di 3 milioni di tonnellate l’anno che, solo sei anni dopo, aumentava a 4,5, grazie al raddoppio dello stabilimento, che s’affacciò al mare. 
I tarantini diventano «italsiderini», sono considerati i nuovi ricchi: possono permettersi una macchina nuova, una seconda casa nel quartiere moderno, poi denominato Paolo VI. L’aumento del reddito netto per abitante in dieci anni è del 250 per cento. E il posto è fisso.
In questo clima di soddisfazione inizia la battaglia ecologista che coincide con l’avvio del quarto altoforno nel 1971. A Piazza della Vittoria, in una manifestazione storica, vennero esposte lenzuola annerite di fumo, simbolo dell’inquinamento cittadino. Che viene sottoposto a una prima verifica da parte del Comune: dallo studio emergono alcune criticità  ambientali nella zona occidentale della città . L’azienda, che è ancora pubblica, si attrezza spendendo cinquanta miliardi di lire per abbattere le emissioni. Si firmano accordi sindacali e intanto, nel 1975, la produzione schizza a 11,5 milioni di tonnellate. 
Ma il picco dell’occupazione si raggiunge nel 1980: Taranto è l’Italsider, l’Italsider è Taranto. Ormai la maggior parte della popolazione lavora nello stabilimento e nelle aziende dell’indotto. Dall’Inail intanto arrivano i primi dati sulle malattie professionali da esposizione a gas, fumi e polveri. Risale al 1982 la prima indagine della Procura della Repubblica di Taranto sui vertici dell’Italsider che porta alla condanna del direttore dello stabilimento a 15 giorni di carcere.
Intanto la crisi del settore siderurgico travolge il Paese. Nel 1988 inizia la liquidazione della Finsider, dell’Italsider, della Nuova Deltasider e della Terni Acciai Speciali, che terminerà  con la costituzione di una nuova società : l’Ilva spa. Un accordo raggiunto in sede comunitaria consente all’Iri nel 1993 di ripianare i debiti aziendali e privatizzare.
Ai cancelli dell’Ilva di Taranto arrivano gli ispettori della Cee per verificare se il taglio di tre milioni di tonnellate chiesto dall’Europa fosse davvero la fine dello stabilimento di Taranto, come sostenuto dagli italiani. Il patrimonio netto dell’Ilva è ormai vicino allo zero, dopo i 2.800 miliardi di perdite, e lo spettro della liquidazione si fa sempre più incombente. 
Al timone del risanamento il presidente dell’Iri, Romano Prodi, ha messo un manager giapponese, Hayao Nakamura, con il compito di tagliare 11.500 posti di lavoro. Il suo ultimo atto nel 1995 è la vendita dell’Ilva. 
Alla gara si presentano Luigi Lucchini, che aveva già  comprato Piombino, e Emilio Riva. Che la spunta, diventando il maggior produttore italiano di acciaio e il terzo europeo. Un programma di ristrutturazione e interventi rimette in piedi l’azienda su cui il gruppo ha investito finora 3,8 milioni di euro.
Ma che ne è della campagna ambientalista? Nel 1997 viene siglata la prima intesa tra Regione e Ilva per il risanamento, ma senza limiti di tempo né sanzioni. I ritardi nell’attuazione degli impegni spingono verso l’ingresso in campo del Governatore pugliese, in veste di commissario. Ma una perizia della magistratura sui livelli d’inquinamento costringe l’amministrazione comunale a ordinare all’Ilva di ridurre le emissioni. Malgrado ciò arrivano i primi avvisi di garanzia al presidente del Gruppo Riva e, nel 2002, la condanna di primo grado. Da allora è tutto un susseguirsi di proteste, trattative e tentativi di accordo. Fino a ieri, quando la protesta e la paura hanno preso il sopravvento.

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