Le opposizioni lanciano l’«Appello di Roma»
Una soluzione politica che metta a tacere la voce delle armi. Con questo obbiettivo, la Comunità di Sant’Egidio ha ospitato a Roma un ambizioso convegno dell’opposizione siriana, presentato ieri alla stampa nella sede dell’associazione. Una scadenza preparata a porte chiuse da un gran numero di componenti politiche e sociali diverse, decise però a impedire «che la Siria si trasformi in un teatro di scontro regionali e internazionali». Undici organizzazioni e 17 partecipanti, provenienti in parte dalla Siria, in parte residenti all’estero.
Il primo pensiero degli organizzatori – presenti al tavolo con Mario Marazziti, Mario Giro e Marco Impagliazzo – è andato «alle vittime e al popolo ostaggio della guerra e della violenza». Quel popolo che ha cominciato a chiedere «libertà e democrazia nel marzo 2011» e da allora è prigioniero «di un’escalation di violenza che sta lacerando il tessuto sociale e richiede soluzioni urgenti». Ma che risposta dare alle armi? «Come si fa ad aiutare la democrazia in un paese in cui l’identità coincide con la convivenza di popoli diversi?». Ragionando a partire da una parola forte: «Sadaka, che in arabo significa amicizia». Con questo spirito è stato stilato «L’appello di Roma per la Siria», simbolicamente firmato da tutti i partecipanti davanti alle telecamere. Amal Naser, dirigente sindacaledel Syrian Trade Union, lo ha letto ad alta voce evidenziando il rifiuto dell’opzione militare e «lo scivolamento verso la guerra civile perché mettono a rischio lo Stato, l’identità e la sovranità nazionale». L’appello, chiede che l’Onu sia «l’unico soggetto internazionale responsabile del coordinamento degli aiuti umanitari», e si rivolge ai giovani: «Il nostro futuro – dice – lo costruiremo con le nostre mani». Insieme per una Siria «civile, pacificata, pluralista».
Concetti che la sindacalista ribadirà alla fine al manifesto: precisando che, nella sua visione delle cose, condivisa qui dalla componente più marxista dell’opposizione (Michel Kilo, Samir Aita) «non può esserci vera giustizia sociale senza il comunismo e senza il riconoscimento pieno del ruolo delle donne, in prima linea nelle manifestazioni». Michel Kilo immagina un «programma in due fasi: un governo di unità nazionale con tutte le forze, comprese quelle meno compromesse del regime, e poi elezioni libere, che ascoltino la voce del popolo».
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