«Da Daccò 9 milioni» Formigoni: falso, è golpe

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MILANO — Un golpe. «Fallito, ma pur sempre un golpe». Un’aggressione politico-mediatica, un «attacco concentrico» contro il presidente della più importante Regione italiana, «un presidente moderato, di centrodestra e pure cattolico». La linea difensiva di Roberto Formigoni è chiarissima: buttarla in politica. Per il governatore lombardo l’informativa della polizia giudiziaria della Procura di Milano, che quantificherebbe in nove milioni di euro i benefit ricevuti nel corso degli anni attraverso il faccendiere Pierluigi Daccò, è solo una «pretesa ipotesi investigativa», niente più che «semplici carte di lavoro». 
Si tratta di un’informativa segreta (non è depositata agli atti) della polizia giudiziaria di duecento pagine, spedita al procuratore aggiunto Francesco Greco e ai pm Luigi Orsi, Laura Pedio, Gaetano Ruta e Antonio Pastore. Annuncia così nuove querele ai cronisti, Formigoni. «Richieste danni, sono più efficaci», puntualizza. Il presidente lombardo convoca una conferenza stampa per elencare una volta di più le pretese «trasfigurazioni» operate da alcuni quotidiani in merito a interrogatori del faccendiere tuttora in carcere. 
Ma il caso più scottante, quello di giornata, è relativo all’intercettazione pubblicata da Il Fatto Quotidiano nella quale il suo ex assessore Massimo Buscemi, genero di Daccò e «sacrificato» nell’ultimo rimpasto di giunta, parla con il governatore della villa in Sardegna venduta da suo suocero ad Alberto Perego (storico amico e coinquilino del governatore) ad un prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato: tre milioni invece di nove. Il presidente di Regione Lombardia taglia corto, anche in questo caso: «Sia da assessore che da ex assessore si è sempre comportato benissimo». 
La Procura di Milano ha comunque aperto un’inchiesta nei confronti dei giornalisti del Fatto. Il reato contestato è quello di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. E il governatore non ha nascosto di aver apprezzato l’intervento dei magistrati milanesi. «La miglior risposta l’ha data proprio la Procura aprendo un’indagine contro di loro». «In ogni caso non ho ricevuto un euro da Daccò, né lui un favore dalla mia amministrazione», si limiterà  invece a commentare nel merito delle accusa davanti alle telecamere di «In onda» su La 7 (dove poi sarà  protagonista di un battibecco con Enrico Mentana). Che la notizia sia stata pubblicata dal Fattospinge il governatore ad accostarsi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Certi giornali hanno una logica della diffamazione infondata, della distorsione degli avvenimenti e della manipolazione che sta avvelenando l’Italia. È una logica di cui ha dovuto dolersi anche il presidente Napolitano». 
Formigoni non cede, insomma. Non ha nessuna intenzione di lasciare la poltrona al 35esimo piano di Palazzo Lombardia. Ieri ha confermato che non si dimetterà  neanche se gli dovesse arrivare un avviso di garanzia. «Non lo farò almeno fino al primo grado di giudizio». 
Anche se — ha confessato davanti alle telecamere — la tentazione del passo indietro a un certo punto c’è stata. Dimettersi per poi tornare al voto, sfidare urne ed elettori, «convinto una volta di più di vincere». Una prova di forza, insomma. Per resistere alla «spallata» che certi «circoletti» avrebbero tentato contro il governo di Regione Lombardia, «l’ultimo residuo di centrodestra in Italia». «Ma in un momento come questo, in una condizione dell’economia di crisi durissima, andare a nuove elezioni regionali sarebbe stato da irresponsabili».


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