«Crac e frodi, colpire i crimini economici»

by Editore | 22 Luglio 2012 15:55

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ROMA — «Che la corruzione sia un’emergenza è una realtà  riconosciuta da tutti, anche a livello internazionale. Io però credo che il problema sia più vasto, e che dovremmo parlare di una vera e propria criminalità  economica che non si ferma ai reati contro la pubblica amministrazione, ma comprende anche le grandi frodi in danno di soggetti pubblici e privati, l’evasione fiscale, le bancarotte fraudolente e i reati societari. Questa è una vera emergenza, strettamente legata alla crisi che stiamo attraversando», dice il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, da quattro mesi alla guida dell’ufficio giudiziario più importante d’Italia, dov’è approdato dopo una lunga carriera spesa tra la Sicilia e la Calabria nel contrasto alla criminalità  organizzata.
Perché parla di legami con la crisi attuale, procuratore?
«Perché siamo di fronte a somme sottratte ai circuiti legali per centinaia e centinaia di milioni di euro, e il danno principale è per il Fisco. Poi per gli enti pubblici, locali e previdenziali. L’altro ieri un collega è venuto a parlarmi di un’indagine su una serie di società  che hanno totalizzato evasioni fiscali per 800 milioni. Ed è solo uno dei procedimenti che abbiamo. In tempi di manovre, spending review e nuove tasse, credo sia semplicemente scandaloso».
Che cosa pensa del disegno di legge anticorruzione che tra mille difficoltà  si discute in Parlamento?
«L’Europa ci ha chiesto da tempo di migliorare le norme in questo settore, e il mio auspicio che ciò avvenga. Il Parlamento sta lavorando e aspettiamo di vedere che soluzioni troverà . Mi limito a rilevare due punti che non mi pare siano stati affrontati con la dovuta attenzione».
Quali?
«Anzitutto la prescrizione, perché le pene edittali non sono alte, spesso i reati vengono alla luce molto dopo che sono stati commessi e i processi richiedono tempi lunghi. Sarebbe ora di valutare seriamente la possibilità  che la prescrizione non operi più dopo il rinvio a giudizio; in questo modo verrebbe meno ogni interesse dilatorio degli imputati e si ridurrebbe di molto la massa di contenziosi che intasa i nostri uffici. Inoltre l’introduzione del reato di autoriciclaggio, presente in quasi tutti i Paesi europei, renderebbe molto più efficace l’azione di contrasto anche nei settori di cui abbiamo parlato».
Lei crede che, come per la lotta alla mafia, il coinvolgimento dell’opinione pubblica possa aiutare il contrasto alla criminalità  economica?
«Certo, e penso che uno dei motivi di gravità  della situazione sia proprio che i cittadini non avvertono l’importanza di questa emergenza. Si presta attenzione alla mazzetta di qualche migliaio di euro, ma non alla complessità  del fenomeno. Capita che imputati per frodi fiscali da centinaia di milioni vengano tranquillamente accettati nei consessi della società  civile, come niente fosse. Non mi pare un buon segnale». 
C’è il rischio di connessioni tra criminalità  economica e criminalità  organizzata?
«Qualche conferma l’abbiamo già  avuta: nelle operazioni finanziarie che producono guadagni illeciti ci possono essere forti interessi della criminalità  organizzata, e i consulenti di cui si avvale la criminalità  economica a volte coincidono con quelli utilizzati dalle varie mafie, che usano la piazza di Roma per i loro investimenti e affari».
Quindi lei conferma che Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra sono approdate nella Capitale?
«A parte la presenza sul territorio della regione di nuclei significativi di “famiglie” appartenenti a queste organizzazioni, il problema principale è scoprire se dietro certi grandi investimenti c’è davvero la criminalità  mafiosa, come molti segnali fanno ritenere. L’assenza di episodi di violenza lascia immaginare un accordo tra le diverse organizzazioni, ma abbiamo già  rilevato episodi di intimidazione e omertà  che ostacolano l’accertamento dei fatti e contribuiscono ad accrescere il condizionamento dell’economia locale e della libertà  d’impresa».
Come in Sicilia e in Calabria?
«Naturalmente le dimensioni sono diverse, ma il rischio d’inquinamento c’è anche qui. Ci sono già  stati importanti sequestri di beni. Io porto con me una lunga esperienza di lavoro al Sud, che ora s’intreccia con quella di validissimi colleghi che ho trovato in questo ufficio, con specializzazioni e culture diverse, insieme ai quali speriamo di conseguire risultati importanti».
Questa è la città  del potere, dei ministeri, dei partiti. È più difficile indagare in questi ambienti o nelle città  dominate dalle cosche mafiose o di ‘ndrangheta?
«L’importante è lavorare ovunque con indagini a 360 gradi, sul presupposto che non esistono santuari inviolabili. Ci sono difficoltà  diverse tra un ambiente e l’altro, ma l’idea di fondo è la stessa. Non ci sono soggetti “colpevoli a priori” o, al contrario, “intoccabili”. Le nostre inchieste devono essere finalizzate a fare processi e ottenere sentenze, possibilmente di condanna dal nostro punto di vista, non ad esaurirsi in sia pur interessanti articoli di giornale».
Dopo il suo arrivo è stato arrestato l’ex tesoriere della Margherita Lusi, che però appena ha provato ad «alzare il tiro» s’è ritrovato accusato di calunnia
«La calunnia è scattata perché sulla base di elementi concreti riteniamo falsa l’affermazione che alti esponenti del suo ex partito avessero condiviso la decisione di comprare beni per sé e i suoi familiari, e di procedere a false fatturazioni. Ma la verifica sui movimenti finanziari della Margherita secondo gli “indici di anomalia” è ancora in corso, e vedremo dove ci porterà . Il nostro compito non è sindacare le spese di natura politica come l’organizzazione di convegni, cene elettorali, finanziamento della stampa o altro, ma di concentrarci su fatti di appropriazione indebita e sull’associazione per delinquere. Credo sia questo il limite dell’accertamento penale».
A Roma c’è anche il Vaticano con la sua banca, lo Ior, al centro di altre vostre indagini.
«Anche qui, noi indaghiamo su episodi specifici di riciclaggio sul territorio italiano, e di recente è stato arrestato un parroco che ha utilizzato un conto di quella banca per fini ritenuti illeciti. Su altri fatti proseguono gli accertamenti». 
La Procura di Roma si porta dietro la brutta fama di «porto delle nebbie». Che situazione ha trovato?
«Ripeto che ho trovato magistrati di grande e a volte eccezionale professionalità , che in alcuni settori stavano già  svolgendo un ottimo lavoro. Ritengo poi fondamentale la collaborazione con le altre Procure; con diversi uffici giudiziari stiamo realizzando collegamenti proficui, cito solo Milano e Napoli perché per motivi diversi sono quelli con cui abbiamo rapporti più intensi. Certo, le risorse sono sempre più scarse. Le ultime assunzioni di personale amministrativo risalgono al 1999, e se la ristrettezza di mezzi continuerà  finirà  per incidere sulla qualità  del servizio che dobbiamo rendere. La sfida è trasformare questa situazione di crisi nell’occasione di ripensare l’organizzazione della Procura, in modo da guadagnare in razionalità  ed efficienza. Per questo ho costituito una commissione composta da magistrati e personale amministrativo che possa individuare le criticità  e proporre nuove soluzioni per un migliore e trasparente funzionamento dell’ufficio».
Lei che c’è stato per tanto tempo, che cosa pensa delle recenti vicende che coinvolgono la Procura di Palermo?
«Mi scusi, ma su procedimenti e problemi che riguardano altri uffici preferisco non esprimere opinioni».

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