«Bene aggredire il debito servono tempi rapidi»
ROMA — Il fardello del debito pubblico, quasi 2 mila miliardi di euro, è pesante, molto pesante. Sono tutti d’accordo su questo. Ma su come alleggerirlo il dibattito è aperto, anche se ieri proprio sulle pagine del Corriere della Sera, il neo ministro del Tesoro, Vittorio Grilli ha disegnato le linee del percorso che il governo vuole seguire per avviare la riduzione chiesta dal mercato e dalla Unione Europea. Le indicazioni di Grilli sono lineari e seguono i due binari dell’azione di bilancio, accompagnata da previsioni di crescita, e della vendita del patrimonio pubblico disponibile.
Sono misure efficaci? O servirebbe qualcosa di più incisivo e rapido? Mario Sarcinelli, banchiere, ex ministro ed ex direttore generale del Tesoro, suggerisce un intervento più netto e consistente, tale da dare un taglio risolutivo sin da subito al debito. «Il ministro Grilli, persona di grande prudenza, si muove nella linea dell’ortodossia. Come economista, da tempo vado dicendo che occorre adottare un’imposta patrimoniale straordinaria. Non esistono alternative efficaci» dice. Certo, aggiunge, si può utilizzare, come dice Grilli, l’avanzo primario per diminuirne l’ammontare «ma occorre prima che ci sia il pareggio di bilancio». E poi la crescita, difficile farci conto quando contro ogni previsione siamo caduti da una recessione ad un’altra. Senza contare che «i tassi si muovono ad ogni folata di vento e che molto di ciò che avverrà sui mercati dipende dalle decisioni dell’Europa e dall’esito delle elezioni presidenziali in Usa. No, io sono con Keynes che nel 1924 indicava tre strade per ridurre il debito: l’inflazione, e noi non possiamo sfruttarla perché siamo in Europa; il ripudio, come ha fatto per esempio nel passato l’Argentina, ma sarebbe un disastro, e l’imposta straordinaria. Si aprirebbero certo problemi di equità e dienforcement. Comunque un riequilibrio della struttura della ricchezza tra settore pubblico e settore privato è necessario».
Mario Baldassarri, senatore del Terzo polo, già vice ministro delle Finanze e presidente della Commissione Finanze di Palazzo Madama, è invece convinto che non ci sia altra via della vendita del patrimonio pubblico. Concorda con le indicazioni di Grilli, nonché sui suoi giudizi severi in merito all’esperienza delle due Scip, anche se ritiene che il percorso delle cessioni sia una soluzione di lungo termine, spalmata su un decennio. «Secondo le stime fatte il patrimonio vendibile ammonta a 600 miliardi circa. Anche essendo prudenti, calcolando solo 400 miliardi, la sua valorizzazione e vendita attraverso la costituzione di un Fondo immobiliare pubblico, potrebbe fruttare 40 miliardi l’anno per dieci anni». Ma deve essere «un’iniziativa seria da far partire subito», afferma annunciando una proposta innovativa: «Esistono tecnicalità finanziarie grazie alle quali i futuri incassi del Fondo possono essere anticipati subito allo Stato». Occorre più di uno strumento per ridurre il debito pubblico, secondo Gianluca Garbi, amministratore di Banca Sistema, che ha studiato la questione anche con altri economisti tra i quali Innocenzo Enzo Cipolletta, «puntare solo sull’avanzo primario e sulla crescita non basta», vista l’incertezza delle previsioni, ma bisogna cercare, come propone Grilli, «di vendere il vendibile, anche se è poco». Garbi, fra l’altro, pensa a sfruttare «l’enorme patrimonio artistico dell’Italia che in parte potrebbe essere trasferito in un apposito Fondo con l’obiettivo di valorizzarlo (ora il suo valore finanziario è pari a zero), così come fanno attualmente, con beni artistici ben più esigui, fondi esteri».
Anche l’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, che è stato fra i sottoscrittori dell’iniziativa «Tagliadebito» promossa da Milano Finanza il 24 gennaio, e che ha avuto numerose adesioni, ha in mente una pluralità di interventi. Tra questi, suggerisce «uno swap di titoli tra le banche e le assicurazioni e un apposito Fondo, mobiliare e immobiliare, costituito dallo Stato e aperto anche agli altri privati». In pratica, spiega, le banche metterebbero nel fondo titoli di Stato, facendo plusvalenza, e ottenendo in cambio quote del Fondo ad interesse garantito, che «potrebbero anche ottenere il bollino di strumenti collaterali per ottenere prestiti dalla Bce».
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