L’Aja, 14 anni al signore della guerra congolese

by Sergio Segio | 11 Luglio 2012 7:26

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L’AJA — È stato il primo a essere arrestato, il primo a essere processato, il primo a essere giudicato colpevole dal Tribunale penale internazionale. Ieri Thomas Lubanga, ex signore della guerra congolese, è stato anche il primo ad essere condannato e gli è andata bene: 14 anni, contro i 30 — il massimo della pena — che aveva chiesto l’accusa. Il suo crimine: aver reclutato a forza un esercito di bambini soldato nell’Ituri, regione all’estremo nordest della Repubblica democratica del Congo, con il quale seminò terrore e morte nel 2002-2003 prima di vedere il suo effimero potere sgretolato dall’intervento internazionale. Credeva di passare alla storia diventando uno dei protagonisti della tormentata scena congolese, ma la sua fama rimarrà  sigillata dalla condanna pronunciata ieri dall’impassibile giudice Adrian Fulford, britannico, dietro i suoi occhiali cerchiati di tartaruga. Gli anni già  passati dietro le sbarre gli verranno scontati, cosicché gliene restano otto, sempre che in appello la sentenza non cambi.
Non è stata l’improbabile laurea in Psicologia rilasciata dall’università  di Kisangani a improntare il destino di Thomas Lubanga, classe 1960, ma la sua smania di ricchezza e di potere.
Incastonato e compresso nel gorgo del genocidio ruandese e poi della prima e della seconda guerra del Congo, nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso, a sua volta minato dall’odio fratricida tra le due etnie che lo abitano, gli Hema e i Lendu, l’Ituri finì per essere travolto quando dei leader senza scrupoli videro nel caos che li circondava un’opportunità . Il suo sottosuolo è ricco di oro e quella ricchezza apparve d’un tratto a portata di mano, o di kalashnikov. Lubanga fondò l’Unione dei patrioti congolesi e reclutò tra la sua gente, gli Hema, una milizia che chiamò Forze patriottiche per la liberazione del Congo. Altri cinque o sei movimenti fecero altrettanto; la guerra che ne seguì è costata 60 mila morti che nessuno potrà  mai contare con certezza. Fu combattuta nei villaggi con crudeltà  efferata, con gli stupri e i massacri indiscriminati. Lubanga si distinse per il ricorso sistematico all’uso dei bambini soldato, creature perse, feroci, smarrite, spesso in età  di otto o dieci anni. Non fu certo il solo: prima o poi tutti, nel Congo, si sono serviti dei kadoga.
Due suoi nemici di dieci anni fa, Germain Katanga e Mathieu Ngudjolo, sono anch’essi rinchiusi a Scheveningen in attesa di comparire davanti ai giudici del Tribunale internazionale per rispondere degli identici crimini.
La Corte dell’Aja, che esiste da dieci anni, aveva un disperato bisogno di arrivare a sentenza in questo primo processo svoltosi sotto la sua giurisdizione. I verdetti emessi dalla giustizia internazionale nella città  olandese erano venuti finora da tribunali ad hoc come quello per la ex Jugoslavia o quello speciale per la Sierra Leone. I procedimenti del Tribunale penale hanno avuto un avvio molto lento, che gli ha attirato critiche e sarcasmi sui suoi proibitivi costi di gestione. Altro argomento addotto contro l’operato della Corte è il fatto che tutti gli altri imputati ancora in attesa di giudizio sono africani. Questo tuttavia non significa che quella amministrata all’Aja sia «la giustizia dell’uomo bianco», come ha provato a sostenere la difesa dell’ex presidente liberiano Charles Taylor, condannato in maggio dal Tribunale speciale per la Sierra Leone. È solo che la giurisdizione riesce ad essere più efficace lì dove l’Onu è presente con le sue missioni di pace e dove gli Stati, più deboli, sono maggiormente disposti a collaborare. È solo un paradosso dei tempi il fatto che la giustizia internazionale riesca a farsi più strada lì dove i crimini sono stati più orrendi.

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