«Agguati» e staffette. Lobbisti in azione
ROMA — La «linea Maginot» venne aggirata dai tedeschi passando da Nord, attraverso la Foresta delle Ardenne. La transenna anti-lobbisti viene aggirata passando dal retro, grazie al corridoio che fa il giro del pianerottolo e sbuca dritto a «Parigi», cioè davanti alla commissione Bilancio del Senato. C’è una pausa nei lavori sul decreto legge per la spending review, il primo ad uscire è il presidente Antonio Azzollini, Pdl. Lunga carriera da avvocato, più di una Finanziaria condotta in porto, una certa esperienza di come va il mondo, insomma. Eppure. «Basta — sbotta ancora sull’uscio — non ve l’ho detto che dovete restare dietro la transenna? Ci dovete lasciar lavorare, la-vo-ra-re. E decidere in piena libertà ». Accorrono i commessi mentre loro, i lobbisti, ripiegano in silenzio dietro la linea Maginot, un nastro rosso allungabile tipo quelli del check-in.
Saranno un ventina qui a marcare a uomo i senatori: fascicolo degli emendamenti, evidenziatore e tabletd’ordinanza. Nulla a che vedere con la folla che si vedeva ai bei tempi del decreto sulle liberalizzazioni, quando vennero addirittura chiusi in una stanza separata e si tornò a parlare di una legge per regolare il loro mestiere. Ma stavolta c’è una novità . Se prima a fare lobby erano solo i privati, adesso tocca soprattutto al settore pubblico. È la mutazione genetica del «sottobraccista», chiamato così per quella dote innata di agganciare con savoir fairel’obiettivo.
Sarà che qui si parla di spesa pubblica, sarà che dopo una stagione di tagli la polpa non c’è più e stiamo arrivando all’osso. E allora le aziende cercano sponde inedite, come dimostra la santa alleanza tra industrie farmaceutiche e sindacati che hanno scritto al premier Mario Monti e al ministro dell’Economia Vittorio Grilli per chiedere uno sconto di pena. Resta il fatto che davanti a quella porta ci sono gli «ambasciatori» di tanti ministeri: quelli dell’Istruzione vigilano sui tagli alla ricerca, quelli della Farnesina sulle nuove regole per il personale all’estero. Ma i più attivi sono i funzionari dell’Unione delle Province. Uno potrebbe accostarli a un vecchio carrozzone borbonico e invece qui, al piano ammezzato di Palazzo Madama, si dimostrano smaliziati brasseurs d’affaires. Sono stati loro a inventare quella regola del due: salvare almeno due Province in ogni Regione, che potrebbe risparmiare Terni, Isernia e Matera. L’altro giorno hanno piazzato il loro campo base una porta più in là , nella commissione Giustizia. E adesso a tenere gli occhi aperti sulla regola del due e su tutti gli altri emendamenti sensibili c’è Claudia Giovannini, elegantissima responsabile per le politiche dello sviluppo. Lobbismo pubblico, lobbismo privato la tecnica è sempre la stessa: «Se insisti solo sulle tue ragioni — spiega uno di loro — hai meno possibilità di portare a casa il risultato. Devi sempre indicare una soluzione che sia vantaggiosa per tutti». Coalizione di interessi: nei corsi di pubbliche relazioni la chiamano così.
Adesso la commissione sta per iniziare di nuovo, i lobbisti tornano dietro la transenna. Alle otto di sera c’è il cambio turno, per molti di loro arriva un collega che seguirà la seduta in notturna. Scriveva John F. Kennedy, uno che se ne intendeva: «I lobbisti sono quelle persone che per spiegarmi un problema impiegano dieci minuti. Per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni». Funziona sempre, anche se loro non ne possono più di sentirla. Stanno pensando a tutt’altro mentre la porta della commissione si chiude di nuovo: «Se arriva pure il decreto d’agosto — dice uno di loro, ragazzo sveglio, settore comunicazioni — giuro che cambio lavoro. Non ce la faccio più a tirare tutte le notti fino alle due».
Related Articles
Licenziamenti, verso lo stop al reintegro
Varrà solo per quelli discriminatori. Ma nei provvedimenti attuativi gli indennizzi saranno rinforzati
La flessibilità inamovibile di Ichino & CO.
La lettera che Pietro Ichino, noto giuslavorista e senatore del Pd, ha inviato al Corriere della Sera il 20 giugno scorso, provoca un certo fastidio. L’argomento è il rapporto tra contratto nazionale e contratto aziendale. Com’è noto, il tema è stato posto all’attenzione nazionale dall’operare della Fiat che pretende la deroga alle norme stabilite dal contratto nazionale in nome di contratti aziendali, di solito peggiorativi in tema di condizioni di lavoro e di salario.
Troppo successo, licenziamone un po’
C’è la crisi e ci sono le imprese furbe. E’ possibile che un’azienda che fattura nel 2011 il 51% in più dell’anno prima possa trovarsi in tali ristrettezze da liberarsi di 188 dipendenti, a Roma, dopo aver fatto altrettanto con un altro centinaio solo due anni fa?