La trappola del pensiero unico

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Sicuramente più di trent’anni fa Paolo Ferrero si interrogava, come molti di noi, sulla possibilità  di uscire dalla crisi del capitalismo e, come molti di noi, rispondeva che quella strada era impraticabile. Piuttosto bisognava uscire dal capitalismo in crisi. Leggendo l’ultimo libro del segretario di Rifondazione comunista – Pisgs! La crisi spiegata a tutti», DeriveApprodi, pp. 216, 12 euro – si scopre che tanto la domanda quanto la risposta non sono cambiate. Segno di coerenza, o vuol anche dire che in fondo in fondo lo stato delle cose esistente è lo stesso che negli anni Settanta e Ottanta? In realtà  è cambiato il mondo e con esso, l’economia e la finanza. È cambiato il rapporto di forza tra le classi ed è cresciuta in modo esponenziale la diseguaglianza. Se Valletta guadagnava 20 volte più di un «suo» operaio, oggi Marchionne ne guadagna 500 volte in più.
Il pregio del libro di Ferrero sta nello sforzo, riuscito, di spiegare ai non addetti ai lavori, ma probabilmente addetti al cambiamento, la natura della crisi attuale del capitalismo smontando uno per uno i luoghi comuni di cui si nutre la narrazione economica, politica e giornalistica. Per evitare che si radichi una sorta di rassegnazione per cui siccome nessuno capisce l’economia e la finanza, tanto vale che a occuparsene siano i tecnici. Si potrebbe citare Gramsci («Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza»), ma il comunista valdese Ferrero sceglie di aprire il suo «glossario» con don Milani: «L’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000 per questo lui è padrone».
«Il problema è il debito pubblico» è il primo dei luoghi comuni denudati in Pigs!: capirne le origini per capire che chi ci ha guadagnato oggi è lo stesso soggetto che detta legge, governi e tagli ai debitori. Il problema, scrive Ferrero, «non è il debito pubblico ma la speculazione». E la crisi finanziaria non è la causa ma solo l’effetto (e qui torniamo alla domanda iniziale) «della crisi strutturale del capitalismo». Karl Marx, sostituendo al luogo comune della sovrapproduzione come causa della crisi la categoria della sovraspeculazione, citava «quella scuola ormai scomparsa di filosofi della natura che considerava la febbre come vera causa di tutte le malattie». Se «la causa» è strutturale e risale al capitalismo, incapace di onorare le promesse nei confronti dell’umanità  grazie a cui è diventato egemone, allora è evidente che non saranno i tagli a portarci fuori dalla crisi restituendoci un futuro. Né la riduzione dei salari e dei diritti. Né è percorribile la strada delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni.
L’ideologia del mercato e della sua presunta oggettività  e infallibilità  è contestata, prima ancora che dal libro di Ferrero, dai fatti. I mercati non hanno codici etici «perché l’unica legge che conoscono è quella del maggiore guadagno realizzabile nel minor tempo possibile». Demolire questi mercati, dunque, prima che siano essi a demolire la società . Naturalmente l’analisi della crisi, la decodificazione dell’esplosione della bolla finanziaria, non possono procedere disgiuntamente dalla lettura dei comportamenti sociali e politici in Italia. E dunque Ferrero non può non intervenire sui guai del berlusconismo ma, soprattutto, sui guai connessi a un antiberlusconismo che porta a bere bibite indigeste. Monti e la Fornero non sono il male minore ma rappresentano la stessa malattia, sia pure in forme diverse. Anzi, si potrebbe aggiungere, quel che non è riuscito ai governi di destra sta riuscendo al governo dei sedicenti tecnici, forte di un consenso parlamentare inedito.
La critica al neoliberismo può richiamare padri nobili (Marx), analisti appassionati (Gallino) e persino improbabili compagni di strada, quelli che predicano in un modo e razzolano in un altro. Non devono dunque sorprendere le citazioni di Giulio Tremonti, che per altro parteciperà  oggi alla presentazione del libro di Ferrero. Nell’ultimo capitolo della «crisi spiegata a tutti», dopo aver analizzato la crisi dell’Europa monetaria per riscoprire l’antico motto «socialismo o barbarie», l’autore si sofferma su quelli che, ai tempi andati, nelle relazioni seguivano «quadro internazionale e fase politica»: «i nostri compiti». Ferrero torna sui temi squisitamente politici, o meglio sull’agenda politica e sui percorsi possibili per arrivare al rovesciamento dello stato di cose esistente. A un punto della storia, però, in cui prima ancora dell’elogio del comunismo diventa prioritario anche per Ferrero, l’elogio della democrazia. Anzi, l’impegno per la sua non rinviabile riconquista.


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