La Siria: “Armi chimiche contro chi ci attacca”
EIRUT — La Siria ha ammesso per la prima volta di possedere un arsenale di armi chimiche e batteriologiche, aggiungendo che potrebbero essere usate soltanto per fermare un intervento straniero, ma «mai e poi mai — ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri — contro il popolo siriano». È questa la risposta del regime di Damasco ai timori sollevati nei giorni scorsi da Stati Uniti e Israele sull’uso che Bashar el Assad potrebbe fare delle armi non convenzionali ammassate nel tempo da Damasco.
Se l’allarme sull’arsenale chimico e batteriologico siriano lanciato qualche giorno fa da Stati Uniti e Israele è sembrato all’inizio un’apertura al buio in una partita tutta da giocare, oggi il regime siriano risponde all’avversario “vedendo” e rilanciando. Ricapitolando. Prima ci sono state le “indiscrezioni” ovviamente pilotate, del Wall Street Journal,na proposito di non meglio precisati movimenti di armi chimiche siriane dai siti di stoccaggio.
Poi, visto che da Damasco era arrivata soltanto una semplice smentita, la Casa Bianca è scesa in campo con un fermo avvertimento, evocando la responsabilità che pende sulle autorità siriane per tutto quello che riguarda la detenzione, e gli eventuali errori nella gestione dell’arsenale chimico e batteriologico, per non parlare dell’eventuale uso delle stesse armi nel corso della crisi. Eventualità cui si accenna soltanto, pur rappresentando la preoccupazione principale.
A questo punto, nella polemica si è inserita l’opposizione. L’ex ambasciatore siriano a Bagdad fuggito in Qatar ha dichiarato alla
BBC che il regime, alle strette, non avrebbe esitato ad usare le armi chimiche contro la sua stessa gente e uno degli ultimo generali a disertare ha rincarato, rivelando che l’uso dell’arsenale non convenzionale in caso di bisogno era nei piani. Sui alcuni autorevoli giornali sono apparse analisi e indiscrezioni che indicavano Stati Uniti e Israele impegnati a elaborare una nuova strategia per fronteggiare il problema. Qualcuna di queste ricostruzioni non escludeva la possibilità di un intervento militare preventivo per neutralizzare la minaccia. Ed ecco che ieri, quella che è nel frattempo diventata una questione centrale nella percezione occidentale della crisi siriana, rimbalza nella sala dove il portavoce del ministero degli Esteri, Jihad Makdisi, incontra I giornalisti presenti a Damasco. Bastano alcune frasi, anche se pronunciate con tono pacato e convinto, ad adombrare una minaccia. «Qualsiasi stock di armi chimiche che possa esistere non sarà mai e poi mai usato contro il popolo siriano… a prescindere dagli sviluppi della crisi. Queste armi vengono conservate e messe in sicurezza dalle forze armate siriane sotto la loro diretta supervisione e non saranno mai usate se non in caso di un intervento esterno. In questo caso saranno I generali a decidere quando e come usarle». Più chiaro di così l’avvertimento non potrebbe essere. E fra i destinatari non ci sono soltanto Stati Uniti e Israele. Giornali ed agenzie di stampa hanno dato grande risalto alle decisone dei ministri degli Esteri della Lega Araba, convenuti a Doha, in Qatar, di offrire ad Assad una “uscita sicura”, una sorta di immunità o qualcosa di simile, se accetta di abbandonare il potere, cose che gli stessi ministri della Lega considerano (e non da adesso) una condizione indispensabile per risolvere la crisi. Damasco, attraverso Makdisi, ha risposto denunciando «la palese ingerenza ». Tutto questo mentre a l’esercito regolare con un’operazione di repulisti, quartiere per quartiere, cerca di ricreare un clima di normalità a Damasco. La battaglia, però, infuria ad Aleppo che da alcuni giorni rappresenta il nuovo obbiettivo militare dei ribelli armati. Del cui addestramento, secondo Spiegel online ora si occuperebbe anche le Sas, le teste di cuoio britanniche.
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