La fronda anti-banche che scuote il Bundestag

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BERLINO — Il socialismo non è finito, per il presidente dei socialdemocratici tedeschi Sigmar Gabriel. E va combattuto, senza pietà . Non è il socialismo in senso classico quello a cui si è riferito ieri il numero uno del più grande partito d’opposizione in Germania. È piuttosto un fenomeno finanziario, molto finanziario. «Bisogna smetterla — ha detto Gabriel in un’intervista al quotidiano Tagesspiegel — con il socialismo delle perdite nel settore finanziario, dove l’utile viene privatizzato e il “rosso” nazionalizzato». 
Sale di tono la rivolta dei vertici socialdemocratici contro la grande finanza, a pochi giorni dal via libera del Bundesbank al maxi piano di salvataggio delle banche spagnole (quindi anche della Spagna, quindi anche dei suoi creditori, banche tedesche incluse). Poche ore prima era stato il turno di Peer Steinbrà¼ck, ex ministro socialdemocratico delle Finanze: sempre più tedeschi — aveva detto — sono convinti che non sia la politica, ma anonimi mercati finanziari, a decidere della loro vita. Gabriel è però andato ben oltre. Forse pensando ai 100 miliardi promessi dall’Europa a Madrid. O, forse, a quanto il governo di Berlino ha pagato per salvare tante banche del proprio Paese dopo la crisi dei mutui subprime e di Lehman. Resta il fatto che le sue parole sono inequivocabili. Quando le banche ricevono aiuti pubblici — ha detto — «lo Stato deve automaticamente diventare azionista, parziale o totale». Lo Stato — ha poi aggiunto il numero uno della Spd — «è diventato ricattabile attraverso un sistema bancario e finanziario andato fuori controllo». Ci vuole quindi «una regolamentazione europea dura e senza compromessi». E ancora: «Chi porta l’Europa e presto anche la Germania alla paura e alla disoccupazione attraverso una falsa politica di risparmi, chi fomenta l’insicurezza e contemporaneamente risparmia le banche, responsabili della crisi», chi fa tutto questo deve poi spiegarlo agli elettori, ha detto Gabriel. Per il quale alle prossime elezioni tedesche, tra un anno, uno dei temi sul piatto sarà  «domare le banche». Immediata la replica del mondo del credito, che tramite l’associazione di settore ha parlato di «piatta polemica elettorale» e di «populismo e generale criminalizzazione» di nessun aiuto.
Al di là  del botta e risposta, una questione che sembra molto tedesca in realtà  può rivelarsi più europea di quanto pare. Gabriel non è un semplice politico nazionale. Ma ha già  guardato oltre. Oltre il Reno, per esempio, in direzione della Francia, dove da poche settimane si è insediato il suo compagno di partito (socialista e socialdemocratico europeo) Franà§ois Hollande. Il suo arrivo all’Eliseo ha sì rotto l’asse franco-tedesco (e di centrodestra) tra il predecessore Nicolas Sarkozy e la cancelliera Angela Merkel. Ma — così inizia a scommettere qualche commentatore politico — si sono anche poste le basi per una nuova intesa: quella, appunto, fra il socialista Monsieur Hollande e il socialdemocratico Herr Gabriel. Il primo è più posizionato al centro, il secondo più a sinistra, ma non è detto che le loro idee, in un’ottica europea, non possano incontrarsi a metà  strada. Intanto, per ora, a incontrarsi, e spesso, sono stati loro due. Il tedesco ha poi sostenuto il francese in campagna elettorale, proprio mentre la cancelliera puntava su Sarkozy, il «cavallo perdente». Ed è ora prevedibile che Hollande ricambi il favore. Dopotutto, anche l’Eliseo vuole riformare il sistema bancario. Come? Separando le attività  di banca d’investimento da quelle di banca al dettaglio (i depositi).
Intanto i malumori contro l’alta finanza non si fermano al cuore dell’Europa. Anzi, proprio lì sono arrivati dopo essersi già  diffusi nella periferia in crisi del Vecchio continente. Giunti non solo al cuore dell’Europa, la Germania, ma anche al vertice del suo secondo partito, a un anno dalle elezioni politiche. In un Paese che tutto sommato ancora cresce, che si finanzia sui mercati a tassi minimi e dove la disoccupazione è (anche lei) ai minimi, da circa 20 anni. Ma ci sono anche tanti «mini job» e in diverse regioni trovare lavoro non è comunque facile. Questa settimana, poi, saranno annunciate le trimestrali di diversi grandi gruppi industriali del «made in Germany», e c’è già  chi pronostica risultati sotto le attese per molti di loro. Perché, attraverso l’export, la crisi potrebbe iniziare a mordere anche qui.
Quando si tratta di banche, poi, non entrano in gioco solo le idee (chi è più a sinistra, chi più a destra), ma anche gli interessi nazionali. Soprattutto in questi mesi in cui tanto si parla di vigilanza europea. E, guarda caso, proprio nei due più grandi Paesi del continente, Germania e Francia, la riforma bancaria (nazionale) diventa uno dei temi del momento. Lanciata da chi comanda da una parte (Hollande) e da chi potrebbe presto farlo dall’altra (Gabriel). Visto che, sempre sulle banche (gli aiuti a quelle spagnole) la cancelliera Angela Merkel ha perso deputati per strada e ha strappato un sì al Parlamento solo grazie al sostegno dell’opposizione. Che, però, poche ore dopo ha subito affilato le armi.


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