by Editore | 22 Luglio 2012 13:23
BARCELLONA — Con il collasso economico sono le Autonomie, ora, ad essere a rischio. La crisi gravissima della Spagna mette a repentaglio, insieme alle comunità autonome di più recente istituzione da molti indicate come concausa del dissesto, anche quelle regioni la cui indipendenza ha origini storiche e radici lontanissime: Catalogna, Paesi Baschi, Galizia. Potrebbe essere questo, indicano in molti, il principio della fine della lunga battaglia federalista di cui Jordi Pujol è stato per quarant’anni il capofila. Del caso catalano parliamo con Andreu Mas-Colell, 68 anni, uno dei più famosi economisti spagnoli, docente a Berkeley ed Harvard e oggi ministro dell’Economia del governo autonomo guidato da Artur Mas, Convergencia i Unio, partito di centro.
Ministro Mas-Colell, che cos’è esattamente “el rescate”, il piano di salvataggio a cui le regioni autonome possono accedere?
«Credo intanto che si stiano confondendo due processi. Uno è l’intervento previsto dalla legge di stabilità . Deve passare da un voto del Senato e sottrarrebbe, in questo caso, competenze alle comunità autonome. Non è all’ordine del giorno. Altra cosa è il Fondo di liquidità autonomo che garantisce liquidità alle comunità che abbiano difficoltà di accesso ai mercati».
La Catalogna sarà la prossima regione a chiedere il piano salvataggio, così come scrive El Pais che la elenca al primo posto in una lista di sei?
«La Catalogna studierà le condizioni previste dal nuovo meccanismo di salvataggio. Dopodiché deciderà se accedere o meno al fondo di liquidità varato dal governo».
Dunque è possibile che lo faccia?
«Sono undici mesi che, in previsione delle difficoltà crescenti che ci sarebbero state per noi comunità autonome di finanziarci sul mercato, abbiamo chiesto al governo la creazione di “hispanobonos”, titoli di stato specifici per noi. In alternativa abbiamo chiesto un qualunque meccanismo che mettesse in comune il debito delle autonomie, così da condividerne l’onere. Perché il Tesoro ha accesso ai mercati, e i catalani pagano le imposte allo Stato».
Quanto dà la Catalogna alla Spagna in termini di imposte?
«Più di quanto riceve: ha un bilancio fiscale negativo che si mantiene stabile da 24 anni. Nel 2010, ultimo anno calcolato, era dell’8,4 per cento. Circa
16.000 milioni di tasse che sono state pagate e non sono tornate nella regione».
E’ vero che questo mese non pagherete ospedali e scuole parificate e convenzionate?
«Stiamo lavorando intensamente per pagare con normalità ma la pressione sulla nostra tesoreria è molto forte a causa
della chiusura dei mercati. Pagheremo gli stipendi degli impiegati pubblici, gli interessi bancari e abbiamo avvertito i comparti sanitario e scolastico parificati che avrebbero potuto esserci dei ritardi, o delle riduzioni. Ma la questione è ancora aperta».
Avete chiesto un credito di 500 milioni per pagare le tredicesime dei funzionari?
«Noi dobbiamo rispettare gli impegni ottimizzando la tesoreria. Siamo costantemente presenti nei mercati come qualunque agente economico».
Come si spiega che il debito catalano sia arrivato al 20,7 per cento sul Pil regionale?
«Squilibri accumulati nel tempo fra le entrate, strutturalmente insufficienti, e le uscite, strutturalmente
rigide».
Ritiene che le autonomie sia di no il vero problema economico della Spagna e che differenza c’è tra le autonomie storiche e quelle più recenti?
«Gli Stati decentrati non sono necessariamente meno efficienti dal punto di vista economico di quelli unitari a forte governo centrale. Ci sono interessi che dipingono le autonomie come origine di tutti i mali. Per ogni inefficienza dell’amministrazione catalana ne posso segnalare un altra o più dell’amministrazione centrale. Il problema è il finanziamento intrinseco del nostro autogoverno. Siamo responsabili della spesa sociale: educazione, sanità , welfare e inoltre della giustizia, sicurezza, cultura. Tutto questo senza riscuotere tasse nostre e soprattutto sottomessi al volere e all’arbitrarietà , in materia di imposte, dello stato centrale al di sotto dei bisogno. L’autogoverno è un valore a cui la Catalogna non rinuncerà mai».
Ci sarebbero conseguenze politiche se la Catalogna accedesse al piano di salvataggio?
«Abbiamo vissuto situazioni storiche molto difficili e
continueremo con le nostre forze, la nostra perseveranza e determinazione ad esistere come autonomia. Non rinunceremo mai all’autogoverno, lo ripeto, e non credo che lo Stato spagnolo preveda un intervento in questo senso».
L’indipendenza della Calatogna è uno scenario possibile?
«Lo è quello della Scozia? Tutto dipenderà da quello che pensa la maggioranza della popolazione, come in un qualsiasi paese democratico».
C’è la possibilità che la Spagna esca dall’euro? Che si torni alla peseta?
«No, in maniera assoluta. In Catalogna l’attuale governo (siamo entrati in carica al principio del 2011) sta portando avanti il suo terzo piano di austerità . Il primo, l’anno scorso, ha portato ad un taglio del 9 per cento strutturale al bilancio della spesa pubblica, al netto degli interessi. Siamo completamente in linea con le politiche europee di austerità , siamo stati i primi ad applicarle in Spagna».
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