by Editore | 20 Luglio 2012 6:18
ROMA — Tutti d’accordo sul fatto che l’Ilva va salvata, che la questione non riguarda solo Taranto, ma l’Italia intera e che il Paese non può permettersi il lusso di chiudere lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa anche se ha prodotto disastri ambientali, se i suoi vertici sono indagati e se la Procura cittadina potrebbe chiedere il sequestro dell’area «a caldo» mandando subito in cassa integrazione 5.000 lavoratori (e altrettanti dell’indotto). Ora però si tratta di trovare i soldi necessari a bonificare il territorio e ad intervenire sugli impianti. Ed è a questo che il governo sta lavorando.
Ieri due vertici a Palazzo Chigi il primo con gli enti locali, il secondo allargato ai sindacati – sono serviti a lanciare l’accordo di
programma che, entro la prossima settimana dovrà fissare risorse, tempi e modi degli interventi necessari a stoppare la chiusura dello stabilimento e a rispettare la normativa comunitaria. I tempi per avviare il piano “salva Ilva” sono strettissimi: l’appuntamento per firmare l’accordo è stato fissato per giovedì prossimo, 26 luglio. Due giorni prima il governo incontrerà l’azienda per capire cosa intende fare e quante risorse pensa, a sua volta, di mettere sul piatto. L’idea è quella di coinvolgerla in un progetto ampio sul modello di quello già utilizzato per l’area di Marghera, dove – oltre agli investimenti – si possa tener conto anche di sgravi e sburocratizzazioni che possano aiutare i processi di bonifica.
Il governo non ha fatto cifre ufficiali, anche se si parla di risorse per 190 milioni, da coprire rastrellando nei fondi strutturali a disposizione del Cipe e del ministero dello Sviluppo. Ma il budget è tutto da costruire visto che, nel bilancio dello Stato, si sono solo poche decine di milioni destinate alla bonifica delle aree industriali. «Non possiamo rischiare di far perdere all’Italia il sito dell’Ilva» ha detto il ministro all’Ambiente Clini. Il protocollo identificherà «gli obiettivi e i programmi sottoscritti dalle amministrazioni centrali e locali» e alla Regione Puglia, farà capo una cabina di regia che dovrà controllare l’attuazione del piano. «Lavoreremo perché questo accordo venga condiviso da Ilva in maniera tale che gli obiettivi di risanamento del territorio facciamo parte della strategia industriale di questo grande gruppo» ha detto il ministro, che si è però lamentato di come, sul settore, ci
sia in Italia una «legislazione barocca che non aiuta né la crescita, né la protezione dell’ambiente».
I sindacati – Cgil, Cisl, Uil e Ugl – sono tutti d’accordo sul fatto che il piano per Taranto sia «la strada giusta», ma le preoccupazioni restano intatte. Solo lo scorso marzo la città è stata divisa in due dalla famosa «marcia dell’Ilva» che in tutti i residenti ha messo l’una contro l’altra la paura di perdere il posto di lavoro con quella di giocarsi la salute e la vita. «Oggi si è avviato un percorso e questo è importante – ha detto Susanna Camusso, leader della Cgil – ma rimaniamo preoccupati per una situazione che ha caratteristiche di emergenza». Bonanni della Cisl si augura che il piano avanzi e che l’azienda «non abbia più alibi per operare come in passato»; Angeletti della Uil avverte che «non trovare una soluzione per Taranto significherebbe dimostrare che abbiamo smarrito la strada per produrre ricchezza, che è finita».
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