Il rigore di Bondi e i sindacati spiazzati

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ROMA — Sono stati chiamati a cose fatte, sia Regioni ed enti locali sia imprese e sindacati. Mario Monti ha convocato ieri mattina a Palazzo Chigi i leader delle varie categorie per una informativa, una comunicazione di ciò che il governo si appresta a fare con l’operazione «spending review». Niente di più. Il presidente del Consiglio ha ascoltato le osservazioni, ma non ha lasciato spazio ad alcuna trattativa. Venerdì arriverà  il primo decreto di revisione della spesa pubblica. A incarnare, anche fisicamente, la spending review era ieri mattina Enrico Bondi, il manager chiamato da Monti per preparare il pacchetto di tagli alla spesa per acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione.
Settantasette anni, l’ex risanatore della Parmalat si presenta nella sala verde di Palazzo Chigi con un vestito nocciola chiaro, mocassini marrone scuro consumati, pallido e magro, e si siede tra due abbronzatissimi e azzimati Antonio Catricalà  (sottosegretario alla presidenza) e Vittorio Grilli (viceministro dell’Economia).
Un look, quello di Bondi, da gabinetto di guerra. E quando tocca a lui, dopo l’introduzione di Monti e l’intervento di Grilli, il superconsulente per la spending review comunica che, su 60 miliardi di spesa che ha visionato, si spreca dal 20 al 60% e che quindi si potrebbe già  qui tagliare tra 12 e 36 miliardi di lire. «Bene, siamo interessati», raccoglie il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, e rilancia proponendo un tavolo di incontri. Ma la richiesta cade nel vuoto. Come tutte le altre che arrivano dai leader sindacali.
Che la partita si mette male i segretari di Cgil, Cisl e Uil lo capiscono subito, quando, dopo gli interventi dei ministri, parlano i leader della associazioni imprenditoriali, dal presidente della Confindustria Giorgio Squinzi a quello dell’Abi Giuseppe Mussari, dal capo delle Coop al rappresentante dei commercianti. Tutti per spingere Monti ad andare avanti con energia, in particolare sul pubblico impiego. E allora Susanna Camusso (Cgil), Bonanni e Luigi Angeletti (Uil) provano ad aprire un confronto, ma senza riuscirci. Alla fine Camusso si spazientisce: «Non immaginavamo una comunicazione così criptica, insufficiente, al limite della reticenza, soprattutto di fronte alla mole di indiscrezioni e notizie circolate sulla stampa». «Dottoressa — replica ironico Monti — sapesse quante cose raccontano anche a noi…». Ma la sindacalista non si ferma: «Presidente, ci lasciamo così? Non ci dice niente sulla traduzione in legge dell’accordo del 3 maggio scorso sul pubblico impiego (quello voluto dai sindacati con il ministro Paroni Griffi, ndr.) o su come andare avanti?». Monti indugia. Camusso tenta l’affondo: «Non vorrei essere impertinente, ma l’accordo del 3 maggio è carta straccia?». A questo punto Monti non gradisce e gela i sindacati: «Questo non è all’ordine del giorno, non mancheranno occasioni di confronto con il ministro Patroni Griffi». La seduta si scioglie.
Il titolare della Pubblica amministrazione non nasconde un certo imbarazzo. Durante l’incontro aveva assicurato i sindacati che sui tagli ai dipendenti pubblici si procederà  solo dopo aver fatto la verifica delle piante organiche. Poi, anche Patroni Griffi si era adeguato alla linea da gabinetto di guerra e, pur confermando la volontà  di dialogare col sindacato, aveva subito precisato: «Ma non vogliamo subire veti». 
Solo su un punto, forse, i sindacati hanno la speranza di portare a casa qualche risultato, quello degli esodati. Monti, infatti, ha assicurato che, come ha già  detto il ministro del Lavoro in Parlamento, sarà  trovata una soluzione per un secondo contingente di lavoratori (55 mila secondo Fornero). Questo anche per evitare, come aveva osservato al tavolo il leader della Uil, Luigi Angeletti, che mentre i dipendenti pubblici in esubero siano prepensionati quelli privati restino senza stipendio e pensione. Un risultato che però, a ben vedere, si deve al pressing dei partiti su Monti. Ecco perché, alla fine, i sindacati, ben sapendo che non sarebbe certo uno sciopero a fermare il governo, sperano nel soccorso dei partiti e del Parlamento.


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