Il noto cliché di uno scrittore maledetto

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Conoscendo il suo stile di vita non è difficile immaginare che il protagonista di molti racconti di Bukowski sia lo stesso scrittore, e allo stesso modo non è impossibile ipotizzare che ad uno dei tanti reading di poesie, ai quali Chinaski cercava di arrivare sobrio ma ai quali poi vi partecipava con un «moderato» tasso alcolico nel sangue, vi possa aver partecipato anche Bukowski nelle stesse condizioni del «libero» poeta protagonista dei racconti dello scrittore americano. Ed è altrettanto possibile immaginare lo scrittore americano che, tra una bottiglia e l’altra, si applica aal’arte della seduzione mentre è seduto intorno ad uno di quei tavolini circolari, cari all’iconografia del cinema d’oltreoceano, su cui sono rovesciati bicchieri vuoti (di whiskey naturalmente).
Un’ambientazione «decadente», ma non nel senso letterario del termine, che rimanda a rappresentazioni stereotipate di monolocali americani in cui si respira il fumo denso di sigarette e costellati di letti perennemente sfatti.
Come i bicchieri che vengono vuotati rapidamente da Bukowski/Chinaski, così corrono i racconti stampati in questa raccolta : sbronze, sesso, avventure di ogni tipo, macabre, finite male o mai iniziate, fiumi di alcool e di sboccatezze circondano il mondo dello scrittore americano che lascia spazio anche a qualche riflessione sulla «pace in vendita», sempre, ovviamente, col suo stile irriverente. L’uomo non sa cos’è la pace, poiché «è stato addestrato come un toro ad incornare qualcuno o qualcosa fin dall’inizio». Una versione oltreoceano del latino «mors tua, vita mea» che impone al povero scrittore di elemosinare qualsiasi tipo di lavoro pur di trovare un po’ di denaro per comprarsi una bottiglia di vino perché «un uomo si ubriaca per una dannata buona ragione e un uomo è un vagabondo per una dannata buona ragione». Legittimo vagabondaggio.
Succede, poi, che il vagabondo/poeta/Bukowski descriva una sua grottesca avventura accaduta nel corso di un lavoro di sistemazione di una cantina per guadagnare due soldi da spendere in vino, in cui finisce accusato di «molestie sessuali» per essersi mostrato nudo alla figlia della proprietaria della cantina in questione nel corso di una innocente doccia. Oppure racconti l’avventura di un ragazzo hippy caduto nelle mani di un gruppo di sadici assassini e cannibali. Si finisce, poi, con l’imbattersi nelle risposte al vetriolo di Chinaski che, alla fine di un reading di poesie, viene fermato da un poeta – «sono un poeta, proprio come lei, sig. Chinaski» – che gli rivolgerà  questa domanda: «Lei ha scritto per tanto tempo senza arrivare al successo. Cosa faceva nel periodo in cui non le veniva pubblicato niente?» «Bevevo e non rompevo», la lapidaria e dissacrante di uno scrittore considerato «maledetto».


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