IL NOSTRO MONDO PARALLELO DA SPRINGSTEEN A HARRY POTTER LA FORMULA DEL SUCCESSO

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Dicono che non puoi dire di aver visto veramente un concerto di Bruce Springsteen se non l’hai visto suonare in Europa: perciò io e alcuni amici abbiamo gettato al vento il buon senso finanziario e lo abbiamo seguito nelle tappe del suo tour in Spagna e in Francia. A Madrid, ad esempio, siamo stati ricompensati con uno show che è durato 3 ore e 48 minuti, forse il più lungo concerto di Springsteen di tutti i tempi, e uno dei più belli. Ma quello che mi ha colpito davvero è stato il pubblico.
I fan di Springsteen negli Stati Uniti ormai sono gente vicina alla pensione (o in pensione già  da parecchio), in Europa il pubblico è molto più giovane. La passione dei seguaci del Boss in America è sfrenata, ai limiti del culto. L’intensità  degli spettatori nel vecchio continente è due volte di più, con un profluvio di rumore e movimento che a volte mette in ombra quello che sta succedendo sul palco.
In mezzo alla penisola iberica ho visto masse di persone cantare parola per parola pezzi che parlano della Highway 9, di Greasy Lake o di qualche altra esotica località  sulla costa del New Jersey, brandendo cartelli dove chiedevano canzoni ripescate dai recessi più profondi e più inconfondibilmente americani del repertorio springsteeniano.
Il momento più strano è stato a metà  concerto, quando ho guardato lo stadio di calcio e ho visto 56.000 spagnoli rapiti, che agitavano con fervore i pugni in aria all’unisono e urlavano a perdifiato: «I was born in the U.S.A.! I was born in the U.S.A.!».
Chissà  se in quel momento stavano pensando che in realtà  non erano born in the U.S.A.? Com’è possibile che in un posto tanto distante tante persone si sentano tanto coinvolte dal mondo di cui canta Springsteen, le terre in via di deindustrializzazione dal New Jersey al Nebraska? Com’è possibile che il semplice sentir nominare le Meadowlands o lo Stone Pony, un nightclub di Asbury Park (New Jersey), abbia un effetto così travolgente su di loro?
La teoria migliore che mi è venuta è questa: da bambini ci inventiamo dettagliati mondi paralleli, quelli che gli psicologi dell’infanzia chiamano “paracosmi”. Questi paesaggi, a volte completi di bestie, eroi e leggi immaginari, ci aiutano a orientarci nella realtà . Sono comunità  mentali strutturate che ci aiutano a comprendere il vasto mondo.
Questo bisogno di paracosmi ce lo portiamo dietro nell’età  adulta. È paradossale che gli artisti che hanno maggior successo a livello mondiale siano quelli che creano i panorami narrativi più locali e peculiari. Milioni di persone in tutto il mondo sono appassionatamente legati alla Compton di Tupac Shakur, o al convitto inglese di Harry Potter immaginato da J. K. Rowling, o alla versione di una tenuta di campagna inglese dell’età  edoardiana propinata dalle serie tv Downton Abbey (che nel 2011 è entrata anche nel Guinness dei primati, n.d.r.) o Ritorno a Brideshead.
Milioni di persone conoscono i contorni di questi paesaggi remoti, i loro personaggi tipici, le storie, le corruzioni e le sfide. Se riuscite a costruire un panorama locale appassionato e fortemente localizzato, la gente accorrerà .
Negli anni Springsteen ha costruito il suo paracosmo, con la sua collezione di vagabondi, fabbriche che chiudono, tormentate connotazioni cattoliche e momenti di sfrenata perdizione. Per costruire questo complesso di edifici c’è voluto un atto di impegno.
Il momento più interessante della carriera di Springsteen è venuto dopo il successo di Born to Run. Sarebbe stato naturale prendere le mosse dal successo di quell’album e replicarne lo stile denso e lussureggiante allargando lo sguardo oltre la sua base di partenza, nel New Jersey. Invece Springsteen scese ancora più in profondità  nelle sue radici e creò Darkness on the Edge of Town, un album più locale, più solitario e più scarno.
All’epoca dovette sembrare una follia dal punto di vista commerciale. Ma uno Springsteen più accessibile, strappato alle sue radici soul, alle sue ossessioni di bambino e all’idioma reiterato di automobili e autostrade sarebbe stato uno Springsteen annacquato. Invece scelse di elaborare nuovi argomenti nel linguaggio della sua vecchia tradizione, e ora si ritrova con gli stadi riempiti da giovani adulti che vengono a vederlo e che conoscono parola per parola canzoni scritte vent’anni prima della loro nascita e che parlano di posti che non vedranno mai.
È qualcosa che ti fa comprendere il potere straordinario del particolare. Se la tua identità  ha confini ben definiti, se vieni da un posto specifico, se incarni una tradizione musicale ben precisa, se i tuoi interessi trovano espressione attraverso un paracosmo specifico, avrai più profondità  e definizione che se sei uno cresciuto nelle vaste reti del pluralismo e dell’eclettismo, che naviga da un punto al punto successivo, sperimentando uno stile e poi un altro, con un’identità  dai confini labili o del tutto inesistenti.
(Forse è per questo che le rock band più giovani non riescono a riempire gli stadi con continuità , mentre gruppi più anziani e geograficamente definiti, come gli U2, Springsteen e i Beach Boys, ci riescono).
Tutta questa esperienza mi fa venir voglia di prendere da parte politici e imprenditori, e magari chiunque altro, e offrire loro qualche consiglio a fin di bene: non cercate di essere l’uomo della strada. Non fingete di essere parte di qualunque comunità  visitiate. Non cercate di essere cittadini di un’artificiale comunità  globalizzata. Scendete più in profondità  nella vostra tradizione. Ricorrete di più alla geografia del vostro passato. Siate diversi e credibili. La gente accorrerà .
(Traduzione di Fabio Galimberti)


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