by Editore | 1 Luglio 2012 15:33
Nel governo tutti i ministri hanno tirato un sospiro di sollievo, dopo l’esito dello «storico » vertice di giovedì e venerdì. L’intesa tra i capi di Stato e di governo andrà tradotta in fatti concreti, soprattutto dall’eurogruppo del 7 luglio. Ma la svolta c’è stata. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo, non ha dubbi: «Il passo politico è stato importantissimo, anche se andrà riempito di contenuto tecnico e realizzativo. E Monti è stato veramente grande…». Ma al di là dell’alto contenuto politico per l’Europa, il patto di Bruxelles per l’Italia riveste un significato economico altrettanto rilevante. Come dice Piero Giarda, ministro per i rapporti con il Parlamento, «c’è una spinta ancora più forte ad accelerare sulle riforme strutturali, che riguardano la spesa, le entrate e anche il debito pubblico ».
Sulla spesa, in queste ore tutti i ministri sono al lavoro per completare i tagli previsti dalla spending review. Il decreto ritarderà qualche giorno, ma solo perché il «target» fissato dal premier vuole essere più ambizioso del previsto. I risparmi che Monti vuole ottenere, e che Enrico Bondi ha ordinato nel suo piano, sono rinchiusi in una forchetta che oscilla tra i 7,5 e i 10 miliardi. Tutti i capitoli sono coinvolti: dalla sanità agli enti locali al pubblico impiego. I dicasteri e i sindacati si lamentano, ma Grilli non sente ragioni. C’è un motivo in tanta intransigenza, che a qualcuno fa addirittura rimpiangere i tagli lineari di Tremonti: e quel motivo si chiama Iva.
Sulle entrate, infatti, il piano di Monti è non solo quello di evitare l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto che doveva scattare a ottobre. Ma grazie ai maggiori risparmi della spending review e alla buona tenuta del gettito dell’Imu (finora sono stati incassati circa 9 dei 9,7 miliardi previsti per la prima rata) il premier vuole attenuare l’urto degli aumenti già previsti dal primo gennaio 2013. Se il quadro contabile non peggiora, le due aliquote Iva del 10 e del 21%, che dovevano aumentare rispettivamente di 2 punti dall’anno prossimo, aumenteranno solo di 1 punto. Non è manna dal cielo per i contribuenti, ma è comunque il segnale di un’inversione di tendenza. Giarda ha già fatto i suoi calcoli: «I due punti di aumento del-l’Iva valgono 13 miliardi. Il costo di 1 punto per ciascuna delle due aliquote è di circa 6,8 miliardi. Se la spending review funziona, ce la possiamo fare».
La sfida più impegnativa, e se vogliamo più innovativa, riguarda il debito pubblico. Anche qui, il vertice europeo è uno stimolo fondamentale, per accelerare sul progetto che Monti ha già anticipato due settimane fa dopo il bilaterale con la Merkel. Si tratta di aggredire il Moloch di un debito che sfiora i 2 mila miliardi di euro, e che supera il 120% del Pil, non a colpi di manovre lacrime e sangue, che stanno uccidendo l’economia reale, ma con un’operazione strutturale sul patrimonio. Il «firewall» è la creazione di uno o di più Fondi «Salva Italia», ai quali conferire quote di patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare. Dagli asset dello Stato a quelli degli enti locali, dalle partecipazioni strategiche come Eni Enel e Finmeccanica alle municipalizzate.
Il modello è quello indicato in questi mesi in varie proposte, da quella di Andrea Monorchio a quella di Pellegrino Capaldo, e rilanciato nei giorni scorsi da Giuliano Amato: questo Fondo, o questi Fondi, dovrebbero valorizzare e vendere quote di patrimonio ai risparmiatori italiani, sottoscrivendo «o quote (redditizie) dello stesso patrimonio, o titoli speciali del debito pubblico, a tassi di interesse inferiori a quelli che ci potrebbe dettare il mercato». Il ricavato andrebbe ad abbattere il debito pubblico, che potrebbe scendere al 100% nel giro di pochi anni. Persino l’ex ministro Renato Brunetta, “falco” del Pdl, ha dato via libera a questo progetto. Ma per far funzionare l’operazione, occorrono due requisiti. Il primo sono le condizioni della liquidità , e su questo dovrebbe supplire la Cassa depositi e prestiti. Il secondo sono le condizioni di mercato, e su questo dovrebbe aiutare il risultato del patto di Bruxelles. È ancora Giarda a spiegarlo: «Finchè i rendimenti dei nostri titoli pubblici oscillano intorno al 6% sarà molto difficile convincere gli italiani a comprare i titoli emessi dal nuovo Fondo Salva Italia a tassi che non superano il 2%. Ma se lo scudo antispread deciso al vertice funzionerà davvero, allora i tassi di interesse possono finalmente scendere in modo strutturale, e allora diventerà finalmente possibile collocare i nuovi titoli che ci consentiranno di abbattere il nostro debito pubblico, senza martoriare di sacrifici i cittadini e senza soffocare l’economia del Paese». È una scommessa. Ma mai come adesso vale la pena di giocarla.
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