Il G20 degli Economisti: l’Euro non cadrà 

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CHICAGO — Venti grandi banche commerciali del mondo scommettono ancora sulla tenuta dell’euro, ma mettono in guardia sulla durata della recessione: serviranno anni all’eurozona per uscirne. Riunito a Chicago per il tradizionale summit annuale, l’ International Conference of Commercial Bank Economists, il club che riunisce i capieconomisti delle banche commerciali del mondo, ha discusso per tre giorni delle prospettive dell’economia mondiale, ma come prevedibile la protagonista principale è stata la crisi dell’Europa. 
«La fatica, questa volta, è stata rassicurare gli americani. Perché, a parte la rappresentanza statunitense e forse alcuni britannici, nessuno di noi, di certo nessuno tra gli europei, e tantomeno il collega tedesco, crede nel break up dell’ euro», è la sintesi a caldo di Gregorio De Felice, il chief economist di Intesa Sanpaolo, unico italiano presente alla tre giorni di Chicago. In sintesi, il quadro emerso è che in Spagna e in Italia non si scorge la fine della recessione e che la crisi, a Roma e Madrid, è destinata a durare ancora molti mesi, probabilmente anni. «Difficile dire quanti», ammette De Felice.
Al ventesimo piano della Trump Tower, vista spettacolare sul lago Michigan, tra gli economisti di Standard chartered o di Abn Amro, sono queste le convinzioni riassunte in decine di slides presentate nel workshop a porte chiuse, tenute tra il 3 e il 7 luglio. Una sorta di G20 di esperti, di economisti e di professori che con le loro previsioni delineano gli scenari che sono regolarmente consultati anche da governi e istituzioni ed orientano le scelte dei grandi investitori internazionali. La storia dell’Iccbe viene da lontano e la sua nascita si deve anche a Raffaele Mattioli, il presidente e domino della Comit che ne promosse insieme agli inglesi della City gli incontri sin dal 1937. In origine, l’autorevole club si riuniva a ragionare sulle sorti del mondo per 15 giorni ogni due anni. La prima volta fu a Londra, la seconda fu sul lago di Como. A curarne l’organizzazione nel tempo fu Antonello Gerbi chiamato dalla stesso Mattioli a guidare l’ufficio studi. Poi il vertice è divenuto annuale e, quest’anno, è stato ospitato nella città  di Obama da Diane Swonk, la capo economista del gruppo Usa Mesirow Financial. «C’è molta attenzione per cosa accade in Italia, com’è comprensibile» dice ancora De Felice che ha raccolto ormai anni fa il testimone di Gerbi-Mattioli. «Tutti vogliono sapere cosa accadrà  dopo Monti, quale governo potrà  succedergli. Un’incertezza politica che conta non poco nella propensione degli investitori a tornare ad acquistare i Btp. Monti gode personalmente di un grande credito intenzionale, ma il Paese nel suo complesso non è ancora attrattivo, non e ancora visto come un’opportunità  di acquisto». Le riforme aiutano e aiuteranno, ma su crescita e disoccupazione gli economisti vedono nero con una frenata che, per l’Italia, è ancora mediamente del 2% per tutto il 2012 e con un tasso di disoccupazione che dovrebbe raggiungere il picco dell’11,6% il prossimo anno. E ancora sul fronte politico, a Roma come in buona parte dell’Europa, permane un rischio legato a prosperare dei movimenti di protesta della cosiddetta anti-politica, il cui impatto secondo gli stessi economisti è ancora sottostimato.
Sulla tenuta della moneta unica, le preoccupazioni degli economisti anglosassoni sono contrastate dalla consapevolezza che il break up non conviene a nessuno e prima di tutti alla Germania, come avrebbe assicurato l’economista capo del gruppo assicurativo Allianz che ha sostituito al seminario il collega di Deutsche Bank impossibilitato a intervenire. Nonostante il focus sull’Europa, poi, non si può dire che le preoccupazioni per l’alto debito americano si siano sopite. «E a differenza loro noi in Europa abbiamo tutte le luci accese per segnalare a che punto siamo». Negli Usa pare ci sia poca voglia di adottare un’eventuale Tobin Tax, mentre Basilea2 è rimasta inapplicata. E il resto del mondo? A Chicago sono stati rimarcati i «forti progressi» del Messico e le «brillanti prospettive» della Colombia, mentre si temono le crescenti fragilità  del Giappone


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