Il cammino a ostacoli dell’Europa più forte sognata da Angela

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BERLINO — Che costruire l’Unione politica sarà  «una fatica di Ercole» lo aveva già  detto intervenendo al Bundestag il 14 giugno, alla vigilia del G20. Ma questa immagine evidentemente le piace, e Angela Merkel l’ha usata di nuovo ieri, celebrando le relazioni franco-tedesche con il suo partner-antagonista Franà§ois Hollande. La novità , forse, è la convinzione, o l’auspicio, che l’Europa abbia le capacità  per compiere questo sforzo immane: «Perfezionare a livello politico l’unione economica e monetaria». La linea della cancelliera non cambia. Eventuali passi avanti nella gestione del «problema spread» o del sostegno alle banche in affanno si devono accompagnare ad un rafforzamento dei controlli comuni sulle discipline di bilancio dei singoli Paesi. E, a sua volta, un’unione fiscale ha bisogno di progressi importanti sul versante della cessione di sovranità , anche a livello di governance. Lo scenario è chiaro, i tempi molto meno. Questo obiettivo ambizioso rientra in un percorso che ha il difetto, dicono alcuni dei suoi avversari, di non fare i conti con le emergenze della crisi.
La critica più ricorrente che viene fatta alla donna ritratta questa settimana sulla copertina di Time, è proprio che l’euro potrebbe crollare prima che «l’Europa più forte» possa realizzarsi. E’ stato l’Economist a riconoscere, qualche settimana fa, che se la moneta unica diventasse «una curiosità  da museo», la storia giudicherebbe «un fallimento la politica di Angela Merkel un po’ come quella di Heinrich Brà¼ning, il cancelliere della repubblica di Weimar». Questo «temporeggiare» sulla crisi ha comunque il senso anche di andare incontro alla preoccupazioni dell’opinione pubblica, che, come hanno dimostrato anche i più recenti sondaggi, continua ad avere fiducia nel suo operato. E a non protestare più di tanto quando lei invoca «più Europa».
In effetti, però, quando Angela Merkel parla di Unione politica si riferisce a riforme che non possono non richiedere laboriose modifiche dei Trattati. La cancelliera non è mai entrata nei dettagli, ma alcune proposte che non dispiacciono alla Germania sono circolate nelle settimane scorse o sono state ipotizzate nel «Gruppo informale sul futuro dell’Europa» guidato dal ministro degli Esteri Guido Westerwelle. Per esempio, una Commissione europea che aumenti il suo ruolo decisionale (possibilmente ridotta nel numero dei suoi componenti), un consiglio dei ministri meno vincolato alla regola dell’unanimità , un Parlamento europeo rafforzato nelle procedure di elezione e nel rapporto con i parlamenti nazionali. Di un’elezione diretta di un «presidente europeo» e della creazione dell’incarico di ministro delle Finanze di tutta l’Unione ha parlato in varie occasioni l’uomo che dirige l’economia tedesca, Wolfgang Schà¤uble. Non sono certo cose, queste, che si fanno dall’oggi al domani. Come del resto, su tutt’altro versante, gli eurobond, sui quali è arrivato ieri un intervento un po’ a sorpresa del ministro del Lavoro, Ursula von der Leyen: «Sono un’opzione nel caso di una completa politica fiscale comune con controlli efficaci sul debito». 
Intanto, però, è anche il breve periodo a dominare le preoccupazioni della cancelliera, che parte oggi per una visita di tre giorni in Indonesia. Da Giacarta, in una settimana che qualcuno ha definito ancora una volta «decisiva», sarà  continuamente in contatto con Berlino. E con Karlsruhe, la città  dove ha sede la Corte Costituzionale, chiamata domani a decidere sui ricorsi contro l’Esm e il Fiscal Compact che hanno costretto il presidente federale Joachim Gauck a ritardare l’approvazione della legge di ratifica. Proprio da Gauck sono venuti ieri sia elogi alla cancelliera (che li aveva ricevuti anche, qualche giorno fa, da uno dei suoi illustri predecessori, Helmut Schmidt) ma sopratutto un richiamo: spiegare meglio ai tedeschi cosa significa il salvataggio dell’euro e quello che comporta per loro. Lo farà  sicuramente, con quel tratto «leggermente malinconico e leggermente ironico» di cui ha parlato lo scrittore irlandese John Banville in un articolo per la Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung.


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