I timori degli investitori esteri sul debito e la strategia del Fmi sugli interventi

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Olivier Blanchard, capoeconomista del Fondo monetario internazionale, pensa che sia solo questione di tempo. Come la Spagna, l’Italia prima o poi dovrà  ricevere un sostegno pubblico internazionale. I due Paesi «devono avere aiuto — ha osservato ieri l’economista francese —. Direi che è una questione di quando sarà  necessario, piuttosto che se sarà  necessario». Blanchard ieri ha aggiunto che in entrambe le economie l’intervento dovrebbe riguardare sia le banche che il finanziamento dei governi ma non ha spiegato perché uno sviluppo del genere, a suo avviso, sia inevitabile: lo hanno fatto per lui alcune delle tabelle che ieri il Fmi ha pubblicato nel suo nuovo rapporto sulla stabilità  finanziaria. 
Uno dei grafici del Fondo mostra per esempio che il deflusso di capitali dall’Italia e dalla Spagna dalla primavera alla fine del 2011 è stato di circa 400 miliardi, equamente ripartiti. Solo nei primi nove mesi dell’anno scorso, le banche estere hanno ridotto i loro investimenti in titoli di Stato di Roma di 33 miliardi e questa tendenza si sta rafforzando. All’inizio dell’unione monetaria il debito pubblico italiano in mano a stranieri era circa il 30% del totale, nel 2006 quel dato era salito oltre il 50%, ma da allora è crollato. Nel suo ultimo rapporto sull’Italia, il Fmi ricorda che oggi gli investitori residenti all’estero detengono non più del 37% dello stock di debito pubblico. 
Oggi però gli equilibri appaiono ben diversi da quelli mostrati in queste statistiche: gli investitori esteri sono sempre meno numerosi ed è la loro mancata risposta all’appello a creare il vuoto nel quale lo spread continua a salire. In cerca di compratori, i rendimenti offerti salgono sempre di più. Qualunque fra le banche che collaborano con il Tesoro nel collocamento dei titoli, le cosiddette banche «specialiste», vede bene che gli ordini dall’estero per i titoli italiani sono molto più bassi del 37%. Nelle aste normali, in questa fase i compratori non residenti in media pesano per circa il 10%. 
È questa grande ritirata degli stranieri ad aprire interrogativi sui prossimi mesi ed è questo il fenomeno che spiega le parole di Olivier Blanchard. Da adesso fino alla fine dell’anno, con i rimborsi dei bond via via in scadenza, il Tesoro italiano dovrà  trovare finanziatori sul mercato per circa 210 miliardi; nei prossimi diciotto mesi, in totale, per 630 miliardi. Se l’offerta di prestiti dall’estero rimanesse bassa come adesso, per il governo italiano tra non molto potrebbe crearsi un dilemma: come sostituire entro fine anno i circa 50 miliardi di prestiti che gli stranieri non offrono più, dopo aver incassato i rimborsi dei vecchi bond in scadenza? E come sostituire i 100 miliardi in meno dell’anno prossimo, se questa tendenza non si invertisse?
Per tornare, gli investitori esteri vogliono vedere due indicazioni riguardo all’Italia: un principio di ripresa all’orizzonte e un minimo di certezza sul fatto che dopo le elezioni le riforme continueranno. Per ora nessuno dei due requisiti è al sicuro. A inizio agosto si vedrà  che la recessione in Italia è ormai vecchia di un anno, mentre il quadro politico resta confuso. Un anno di crisi non ha creato nel Paese nessuna base di consenso comune sulle sue cause e i rimedi. Tutti ricordano come poche settimane fa Silvio Berlusconi parlasse di ritorno alla lira, mentre il segretario del Pd Pier Luigi Bersani continua a esprimersi contro l’Imu e i tagli di spesa, ma non spiega come li sostituirebbe per far quadrare il bilancio. Nessuno dei due leader parla mai del fatto che l’Italia è 30esima su 31 Paesi dell’Ocse per «facilità  nel fare impresa», che un allacciamento della luce in azienda costa quattro volte più che nel resto d’Europa o che una causa civile dura in media 900 giorni più che in Francia.
Con questa opacità  sui problemi del Paese, gli investitori esteri non si preparano a tornare. Probabile dunque che entro l’anno l’Italia debba trovare fino a 50 miliardi che i privati non sono più disposti o capaci di offrirle in prestito. La stessa fuga degli investitori esteri nel 2011 e all’inizio del 2012 era già  stata sostituita dall’intervento delle autorità  europee, benché gli italiani non abbiano mai avuto la sensazione di ricevere degli aiuti. In realtà  il Paese ne ha avuti e, viste le dimensioni dell’economia, sono stati più corposi di quelli già  concessi all’Irlanda o al Portogallo. L’anno scorso la Banca centrale europea ha comprato titoli di Stato italiani per circa cento miliardi di euro; quindi ha lanciato i suoi maxiprestiti a tre anni a condizioni di favore e ciò ha consentito alle banche italiane — stima il Fmi — di finanziare il debito pubblico per altri 80 miliardi. Così l’Eurotower ha surrogato fino ad oggi alla ritirata degli investitori esteri dall’Italia.
Nulla garantisce che continuerà  a farlo, anzi i suoi responsabili tendono a frenare: a torto o a ragione, la Bce di Mario Draghi preferisce che un eventuale aiuto all’Italia in futuro venga dall’Esm (European Stability Mechanism), il fondo salvataggi gestito dai governi. Gli acquisti di titoli di Stato potrebbero scattare anche se il governo italiano non li chiedesse, qualora la Bce dovesse ritenere che esiste una minaccia per la stabilità  dell’intera area euro. L’altro giorno il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schà¤uble ha detto che gli interventi dell’Esm potrebbero scattare «senza annunci preliminari». Schà¤uble non ha parlato di condizioni poste per offrire questi aiuti. Ma anche lui sa che per il sostegno esteso dall’Europa alle banche spagnole, i vincoli ufficialmente dovevano cadere solo su queste ultime. Poi Mariano Rajoy è tornato dall’ultimo vertice europeo e all’improvviso ha alzato l’Iva e cancellato la tredicesima degli statali: l’opposto di quanto aveva promesso fin lì.


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