I piani di Netanyahu per colpire l’Iran dietro l’uscita dei centristi dal governo

by Editore | 25 Luglio 2012 9:02

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Bibi a questo punto sa di non avere la maggioranza nel gruppo che deve prendere la decisione se bombardare o meno. Con lui ci sono Ehud Barak, ministro della Difesa, Avigdor Lieberman (l’ultranazionalista agli Esteri) e Yuval Steinitz (Finanze): sommando il suo voto fa quattro contro quattro. Così in questi giorni — ricostruiscono i quotidiani israeliani — ha manovrato per convincere almeno sette transfughi di Kadima ad approdare nel suo Likud. 
Il gruppo di ribelli è capeggiato da Tzahi Hanegbi. Fedele di Ariel Sharon, ha ammorbidito le posizioni oltranziste verso i palestinesi e gli arabi (trent’anni fa stava sui tetti di Yamit a tirare pietre, quando la colonia nel Sinai veniva evacuata), ma non ha mai nascosto il suo sostegno al raid per rallentare lo sviluppo del nucleare iraniano. 
Fuori Mofaz, dentro Hanegbi, avrebbe pensato Netanyahu. Non ha funzionato e il leader di Kadima ha passato ieri mattina a spiegare alla radio militare come le mosse parlamentari «mettessero in pericolo la sicurezza di Israele». Senza nominare l’Iran — sarebbe stata quasi una violazione del segreto di Stato — ha accusato Bibi di «avventurismo»: «Il mio partito non prenderà  parte a operazioni che mettono in pericolo il futuro dei giovani e dei cittadini di questo Paese». Mofaz — dicono i suoi assistenti — ormai parla di «ossessione» del primo ministro.
Hanegbi replica che sono «fantasie», eppure nella sua pagina Facebook ha motivato così il ritorno da Kadima al Likud: «La stabilità  del governo è essenziale per affrontare l’imminente caduta di Bashar Assad in Siria, l’ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto. Soprattutto questo è il momento risolutivo per affrontare la questione iraniana, una decisione che avrà  un impatto sulle nostre vite più di qualunque altra».
Ufficialmente Bibi e Mofaz — che è uscito dalla coalizione settimana scorsa — hanno litigato sulla nuova legge che avrebbe dovuto imporre la leva militare a tutti, compresi i giovani ultra-ortodossi. I commentatori adesso vedono un’altra motivazione: «Quando ha autorizzato Hanegbi a convincere alcuni deputati di Kadima a passare con lui — scrive Gil Hoffman sul Jerusalem Post — Netanyahu non aveva in mente la lista dei loro nomi ma quella delle centrali di Natanz, Isfahan, Bushehr e Fordow».
Quando è entrato nella coalizione il 2 di maggio, Mofaz ha chiarito a Netanyahu — racconta il telegiornale delCanale 2 — di non poter promettere il sostegno al raid. Yehuda Weinstein, l’avvocato generale dello Stato, ha consigliato al premier di provare a ottenere il via libera in tutto il consiglio dei ministri per dare maggior peso legale alla decisione.
Con l’uscita di Kadima il primo ministro non ha perso la maggioranza in Parlamento, ne vuole una meno risicata perché a questo punto preferisce evitare le elezioni anticipate: lui sa di vincerle ma il suo alleato principale nell’affare Iran è destinato dai sondaggi all’estinzione politica con il partito dell’Indipendenza. Ehud Barak è la mente dell’operazione e Netanyahu ha bisogno del soldato più decorato della storia d’Israele per convincere i generali a bombardare.

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