I corpi trionfanti dell’età  di mezzo

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La storia del corpo nel medioevo è ancora relativamente agli albori, sebbene alla sua nascita e allo sviluppo abbiano fornito contributi essenziali storici della statura di Marc Bloch e di Ernst H. Kantorowicz; in tempi più recenti sul tema è tornato, con una sintesi generale, Jacques Le Goff, ma anche Sergio Bertelli, che ha studiato il corpo del re nella sua duplicità , secondo la linea tracciata da Kantorowicz: infatti il sovrano possiede in un certo senso un duplice corpo; uno è quello fisico, che invecchia, si ammala, muore, si distrugge; l’altro è quello mistico, indistruggibile, incorruttibile, eterno. Misticamente e istituzionalmente il re non muore mai, come indica la frase «il re è morto, viva il re». E questo vale per tutti i casi in cui una persona fisica incarni (un verbo rivelatore) un’autorità  sistematica. La ricerca è stata estesa poi, con risultati eccellenti e innovativi, da Agostino Paravicini Bagliani al tema del corpo del papa. 
Due idee errate
Si tratta tuttavia di un soggetto tuttora ricco di spunti da approfondire, di piste da seguire. La concezione cristiana del corpo quanto innova rispetto alle società  precedenti, e quanto invece eredita? E qual è il ruolo della Chiesa nella definizione e il controllo del corpo? Una sintesi aggiornata di Grado Giovanni Merlo, Il cristianesimo medievale in Occidente (Laterza 2012, pp. 220, euro 13), può essere d’aiuto in questo discorso fornendo le coordinate generali per seguire la complessa evoluzione del cristianesimo occidentale nei secoli in questione. Il medioevo, considerato «età  della fede», si associa di solito allo spirito, e si considera pertanto nemico di qualunque carnalità . Esso sarebbe stato un tempo di negazione e d’umiliazione del corpo, di sottovalutazione di tutto quel ch’era fisico. 
Il pregiudizio d’un medioevo tutto «spirituale» nasce da due idee, entrambe errate nonostante riposino su alcuni elementi effettivi. Primo, la constatazione che la filosofia vincente nel medioevo – quanto meno fino al secolo XIII, quando si andò affermando l’aristotelismo – era il platonismo, noto per la svalutazione del corpo rispetto all’anima e delle cose rispetto alle idee; ma il platonismo trionfò anche nel Quattrocento, epoca nella quale tornò in auge il culto classico della nudità  e si ebbe una tale esplosione di licenza sessuale che ci vollero nel secolo successivo due Riforme, una protestante e una cattolica, per soffocarla. Secondo, la conoscenza superficiale di certe tradizioni mistiche, come quelle collegate con le tecniche di umiliazione e di castigo del corpo: da qui l’idea di un medioevo assediato dalla sporcizia e dalla macerazione della carne attraverso il digiuno e il tormento fisico. 
«Eroici» eccessi
Non c’è nulla di più intrinsecamente falso delle ricostruzioni storiche che si giovano di brandelli e frammenti di verità . Infatti, non c’è dubbio che nel lungo periodo che noi per convenzione chiamiamo «medioevo», i secoli fra V e XII siano stati dominati dal platonismo; ed è un fatto che i mistici insegnavano a disprezzare il corpo e a tenerlo a bada attraverso pratiche ascetiche che vietavano di curarlo, prescrivevano di alimentarlo molto parcamente e lo sottomettevano alla «disciplina» di torture fisiche come la frusta, il cilicio, la prolungata immobilità , l’esposizione alle intemperie. Ma il platonismo, rielaborato attraverso la gnosi, aveva dato origine anche a movimenti eterodossi che non solo non erano affatto spiritualistici, ma che anzi molto spesso conducevano a un uso intenso del corpo, ad esempio attraverso pratiche erotiche: tale fu ad esempio il priscillianesimo diffuso nella penisola iberica. Quanto alle tecniche ascetiche, poco di esse è d’origine ebraica o appartiene al cristianesimo delle origini. Gesù, è vero, digiunava: tale pratica è universalmente conosciuta nel mondo abramitico ed è seguita ancor oggi, in modo diverso, da ebrei e da musulmani. Ma le tecniche più dure si affermarono tra II e III secolo, al contatto con ambienti pagani africani o asiatici che v’immisero elementi derivati da antiche fedi che avevano concettualmente abbandonato, ma che continuavano a restar forti sul piano delle tradizioni. 
Cilici, flagellazioni, addirittura mutilazioni, erano pratiche già  penetrate nel mondo pagano attraverso i culti misterici o conosciute dai germani e soprattutto dai celti per fini diversi, dalle iniziazioni guerriere alle tecniche sciamaniche. La stessa «sessuofobia» che ancor oggi spesso si rinfaccia ai cristiani non era loro propria: il cristianesimo elogiava verginità  e continenza e regolava l’attività  sessuale – al pari di quella alimentare o di quelle connesse con il divertimento – in un modo che può certo aver dato luogo ad alcuni eccessi «eroici», a forme di diniego assoluto o addirittura di autotortura. Tuttavia quel ch’era centrale nell’insegnamento e nella pratica cristiana era la disciplina, la sobrietà , l’autocontrollo non già  come tecniche umilianti e autopunitrici bensì, al contrario, come mezzi per giungere al dominio del proprio corpo.
Modelli saraceni
Il medioevo fu in realtà  non certo materialista, ma tuttavia legato profondamente alla fisicità  e addirittura alla carnalità . Non solo alla propria, ma anche a quella dell’Altro: per esempio dei saraceni, come ha ben mostrato Suzanne Conlikin Akbari in un libro, Idols in the East. European Representations of Islam and the Orient, 1100-1450 (Cornell University Press, pp. 324, £ 17,99), che ci piacerebbe veder tradotto e pubblicato in Italia. L’autrice, in un discorso sulla rappresentazione dell’Oriente nella cultura europea bassomedievale, si sofferma a lungo sul tema del corpo, sfatando l’idea di un protorazzismo insito nell’osservazione della diversità ; nella concezione del tempo non vi era spazio per le dicotomie assolute, quanto piuttosto per un continuum lungo il quale si collocano tutte le diverse possibilità  del corpo umano: dal noto, ch’era ovviamente dato dal modello europeo (e qui verrebbe da chiedersi quanto realisticamente si fosse in grado di individuarne uno preciso), sino al totalmente estraneo che si collocava nelle aree più esterne dell’ecumene. I corpi dei saraceni, scrive Conlikin Akbari, si situano lungo tale continuum, ed è per questo che appaiono così variabili nella letteratura, che spesso li considera positivamente. Le descrizioni ammirate dei corpi di donne e uomini sareceni sono infatti frequenti.
Inoltre, contrariamente a quel che si ritiene respingendo «all’indietro» una realtà  storica molto più recente, ossia la mancanza d’igiene corporea che si affermò tra tardo Cinquecento ed età  barocca, il medioevo fu un tempo di grande familiarità  sia con l’igiene corporea (le «stufe», cioè i bagni, erano frequentissimi), sia addirittura con la nudità , ch’era praticata sia pur non promiscuamente in molti ambienti e in vari occasioni. Perfino nei monasteri, nei quali evidentemente era praticata la castità , il corpo veniva fatto oggetto di molte cure: v’erano bagni e latrine, si provvedeva a lavare, nutrire e curare gli infermi, si permettevano pratiche ascetiche anche molto dure e rigorose, ma sempre commisurate alle forze e alle possibilità  di chi vi si sottoponeva; e ordinariamente ci si concedevano agi anche notevoli, che difatti venivano fatti segno di molte composizioni poetiche di tipo satirico: i monaci vestivano abiti comodi, vivevano in ambienti che potevano essere ben riscaldati, si cibavano in modo adeguato e perfino abbondante e gustoso. D’altra parte, nella produzione di vino, birra, formaggi e conserve varie i monaci medievali ebbero un ruolo difficilmente sottovalutabile. 
Capi carismatici
Questo per quanto concerne il corpo dei vivi. Ma uno dei grandi temi nell’ambito dello studio della corporeità  riguarda invece quello dei morti; un ambito nel quale più facile è vedere la differenza del medioevo cristiano rispetto al passato precristiano. Provano a far dialogare fra loro i due mondi Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Giulio Guidorizzi in Corpi gloriosi. Eroi greci e santi cristiani (Laterza, 2012, 170 pp., 18 euro), considerando come il santo, del quale la ricca produzione agiografica medievale descrive le imprese titaniche (i miracoli, la lotta contro i mostri che assediano le comunità , la civilizzazione di nuove terre), possa esser letto come una trascrizione in chiave cristiana del mito dell’eroe antico. San Brandano viaggia come Ulisse; San Giorgio vince il drago come Perseo: e certo viene in aiuto il fatto che alcune di queste leggende cristiane, proprio come quella di san Giorgio, non abbiano alcuna base storica reale. 
È tratto comune a molte se non a tutte le civiltà  il volersi raccogliere intorno a capi carismatici quali possono essere gli eroi greci e i viri Dei cristiani; nel caso del cristianesimo, anzi, come è stato ormai abbondantemente scritto, l’invenzione del culto dei santi è stata centrale nella diffusione e nel rafforzamento della nuova fede; tanto più a partire dalla fine del IV secolo, se si tiene presente che allora il cristianesimo fu dichiarato religione di stato, pretendendo di cancellare con un colpo di spugna i culti precedenti e ancora ben vivi nell’impero romano. Servivano insomma modelli forti da proporre alla società .
Non bisogna tuttavia dimenticare che, rispetto alla religione greco-romana, il cristianesimo introdusse una novità  profonda proprio nell’ambito del rapporto con il corpo dei morti. Infatti, se gli ebrei veneravano i sepolcri dei patriarchi, se greci e romani veneravano gli eroi e i sovrani e ne facevano semidèi presso le cui tombe sorgevano templi loro dedicati, è anche vero che si tenevano distinti dal mondo dei viventi, lontani dalle città  dei vivi. Il culto romano aveva codificato anzi pratiche atte a tenere lontani gli spiriti dei morti, i lemures. 
Erano le feste chiamate Lemuria, che la tradizione voleva istituite da Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso. Le Lemuria ricorrevano il 9, l’11 e il 13 maggio ed è molto probabile che fossero le più antiche feste dei morti celebrate a Roma. Il morto, insomma, era concettualmente un estraneo e un nemico: il rito serviva a obbligarlo a non tornar più a turbare e a spaventare i vivi. I cristiani, credenti in un Dio che attraverso la Resurrezione ha vinto la morte, hanno imposto nel mondo una concezione differente. La realtà  della Resurrezione, per esser creduta, aveva bisogno di testimoni: i martyres e, finita l’età  dei martiri con Costantino, i santi. 
Verso le periferie
Per questo la rivoluzione religiosa e culturale cristiana, quando nel IV secolo divenne quella dell’impero romano, comportò anche una rivoluzione urbanistica, spostando il loro fulcro verso le aree suburbane dove i martiri cristiani erano stati giustiziati o dove erano stati sepolti. Quando poi un corpo veniva trovato intatto, il miracolo era accolto come una prova in più del fatto che il suo proprietario condivideva la vita eterna del Cristo. Per non parlare del culto delle reliquie, dei frammenti dei corpi santi esposti e venerati dai vivi e a loro volta protagonisti di miracoli taumaturgici. 
Corpi dei vivi e corpi dei morti, di eroi greci e di santi cristiani, di europei e di saraceni, con caratteri comuni e altri che li separano, sospesi tra continuità  e discontinuità . Se il tema è (relativamente) nuovo, tale è la sua centralità  esperienziale da offrire ancora per il futuro molti spunti di fascino e riflessione.


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