by Editore | 26 Luglio 2012 13:31
Appeso alle grate metalliche della stazione ferroviaria del London Bridge, campeggia da lunedì un tabellone pubblicitario che reca la seguente scritta. «Sponsor ufficiale del più grande evento sportivo di Londra quest’anno». Poco sotto il carattere si fa leggermente più piccolo e recita ancora. «Ecco, l’abbiamo detto. Ehm… ci riferiamo alla Londra francese». Firmato Paddy Power, agenzie di scommesse irlandese, una delle più famose del Regno Unito. Attorno a questa bizzarra trovata pubblicitaria che strizza l’occhio alle Olimpiadi ma si riferisce in realtà a una gara di corsa con uovo e cucchiaio, molto in voga nelle scuole elementari inglesi ma organizzata in questo caso in un paesino francese chiamato London dalle parti di Savigny-sur-Seille, si è scatenata una guerra di marketing tra il Comitato organizzatore di Londra 2012 (Locog) e i bookmaker di Dublino. Il primo ha ordinato ai secondi di rimuovere immediatamente la pubblicità in quanto infrange le severissime regole in tema di sponsor stabilite dal Cio.
Per tutta risposta, Paddy Power si è rivolta a uno studio legale londinese per ottenere un pronunciamento dell’Alta Corte di giustizia che blocchi l’azione legale del Locog. È una sfida all’ultimo colpo assolutamente degna di nota, non solo perché le scommesse sono un’istituzione e un pezzo di cultura sportiva britannica intoccabile (si può giocare su tutto, anche sulla possibilità che il sindaco Boris Johnson – famoso per la sua chioma biondo platino – si dia fuoco ai capelli prendendo in mano la torcia olimpica). Ma anche e soprattutto perché, in attesa che gli atleti si prendano il palcoscenico di questa XXX Olimpiade dell’era moderna, la guerra degli sponsor è la migliore cartina di tornasole possibile per capire cosa bolle davvero nel calderone del circo olimpico.
Un miliardo di dollari
Al contrario di quanto accade nel mondo del calcio, non ci sono agenzie di scommesse tra i grandi finanziatori dei giochi. Esistono invece undici sponsor di primo livello (i soliti noti: Coca Cola, McDonald’s, Visa e compagnia cantante) che hanno versato nelle casse del Comitato olimpico internazionale una cifra complessiva vicina al miliardo di dollari per assicurarsi l’esclusiva olimpica dei loro prodotti per i giochi di Londra e quelli invernali di Vancouver 2010. A questi si aggiungono altre 42 multinazionali (Bp, Bmw, Adidas, British Airways) che hanno stanziato su per giù 893 milioni di euro per il solo Comitato organizzatore di Londra 2012. In entrambi i casi, quello che pretendono in cambio è massima visibilità mediatica, totale esclusività rispetto ai propri rivali di settore e campagne mirate per ripulirsi immagine e rispettabilità non proprio al di sopra di ogni sospetto (per fare bella figura hanno tutte rinunciato all’esenzione fiscale che il Cio aveva garantito loro lungo il Tamigi).
Vediamo un po’ cosa significa. Non appena si mette piede nel nuovissimo parco olimpico di Stratford, si entra in una zona rossa dove tutto ciò che non appartiene agli amici sponsor, è assolutamente bandito. Vietatissimo portarsi panini da casa, qui comanda il Big Mac. Hai bisogno di fare un bancomat o vuoi pagare il pranzo, la maglietta, la connessione internet (si paga anche quella, 108 sterline per i giornalisti, 130 per i fotografi)? «Siamo orgogliosi di accettare solo Visa. Oppure contante». Hai la balzana idea di presentarti allo stadio con una maglietta griffata Pepsi? Lord Sebastian Coe, un mito dello sport inglese, gran capo del Locog, minaccia ai microfoni della Bbc di sbatterti fuori anche se poi il Cio, visibilmente imbarazzato, ha promesso che ci sarà una certa flessibilità .
L’incubo degli organizzatori si chiama ambush marketing, l’imboscata pubblicitaria a danno degli sponsor ufficiali, diabolicamente perpetrata dai concorrenti che non hanno sganciato un euro. A Londra c’è una speciale unità di addetti alla protezione del brand che perlustra ogni angolo della capitale a caccia di chi si fa pubblicità nel nome dei giochi illegalmente. A Stratford il proprietario dell’Olympic Cafe ha dovuto cambiare nome al suo bar, altri sono stati costretti a chiudere. A Plymouth, quando è passata la torcia olimpica, la polizia del brand ha fatto irruzione in un bar del centro che prometteva una colazione olimpica e ha sequestrato tutti i menu a base di baguette torcia fiammante. Guai a chi usa senza autorizzazione la parola Olimpiadi o il simbolo dei cinque cerchi. Ma guai pure a chi osa accostare i propri panini alle seguenti parole: giochi, 2012, DueMilaDodici, Venti Dodici. Se poi una di queste è associata a termini come medaglie, oro, argento, bronzo, estate, Londra, l’unità speciale salva brand vi smonta il locale.
Il ministro della cultura Jeremy Hunt ha difeso a spada tratta la scelta del governo inglese di sottomettersi alle imposizioni del Cio e dei suoi amici corporate ma poi si è ritrovato a fare i conti con un caso piuttosto spinoso. Quello del sito Party Pieces che nella sezione Celebrate the Games offriva tutto il necessario per celebrare un vero party olimpico (piatti, bicchieri, tovaglioli, bandierine, palloncini, tutti griffati con la Union Jack). E a chi appartiene questo sito lazzarone che truffa gli sponsor? Ai genitori della duchessa di Cambridge, Kate Middleton, moglie del principe William. E infatti sul sito c’era in bella mostra pure il blog della sorella Philippa Charlotte, la celeberrima Pippa. I tabloid si sono scatenati ma dopo una rapide indagine, il Locog ha stabilito che il sito della famiglia Middleton non viola alcuna regola anche se gli è stato chiesto di fare qualche piccolo aggiustamento (il blog di Pippa è sparito).
Tra i maestri dell’ambush marketing c’è la Nike che per fare un dispetto all’Adidas ha appena lanciato una campagna pubblicitaria girata in tutti i posti del mondo che si chiamano London, dalla Giamaica al Sudafrica, dall’Ohio alla Nigeria. La multinazionale dell’Oregon è però anche partner ufficiale della nazionale olimpica americana ed è stata presa di mira da un gruppo di atleti Usa che non ne vuole sapere di dover eventualmente salire sul podio indossando scarpe e magliette con la virgola rovesciata. Adam Nelson, ex campione del mondo nel lancio del peso, due medaglie d’argento olimpiche, ha lanciato la rivolta dei piedi nudi invitando atleti e tifosi a twettare le foto dei loro piedi scalzi con l’ashtag #SolesForSoul. Un pezzo della squadra americana ha raccolto la provocazione e 40 anni dopo il pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico, c’è chi giura che vedremo la tribù dei piedi nudi sul podio di Londra.
Quali giochi? Quale città ?
Contro il costo esorbitante dei giochi (14 miliardi di euro) e il dominio delle multinazionali che li finanziano, il movimento di Occupy London e altre 40 organizzazioni tra cui gruppi ambientalisti, comitati cittadini e Counter Olympics Network hanno annunciato per sabato (primo giorno di gare) una marcia di protesta intitolata «Quali giochi? Quale citta?». La manifestazione partirà a mezzogiorno dal parco di Mile End e si concluderà a Victoria Park. Gli organizzatori hanno chiarito che non c’è alcuna intenzione di sabotare i giochi, sarà solo una grande festa di incontri, iniziative e giochi alternativi aperta a bambini e famiglie. Questo perché la polizia di Londra ha già rodato la sua politica di tolleranza zero arrestando sette persone che la settimana scorsa mettevano in scena una performance teatrale a Trafalgar Square. L’accusa, aver sparso del liquido verde (green custard, una crema usata per fare i dolci) all’ombra della statua dell’ammiraglio Nelson. In realtà il gruppetto stava inscenando una pièce di protesta contro tre degli sponsor più controversi dei giochi. La British Petroleum, la Dow Chemical e Rio Tinto. La polizia sostiene di esser stata avvisata da un passante allarmato. Meredith Alexander invece, ex commissario del Comitato di controllo sulla sostenibilità dei giochi, ha denunciato la reazione eccessiva e in «puro stile olimpico» delle forze dell’ordine. «Stavamo pulendo il liquido che i nostri attori si erano simbolicamente rovesciati sulla testa quando sono arrivati 25 poliziotti e hanno portato via sette persone, di cui tre donne di 60 anni, che stavano lì a raccontare come i cari amici sponsor di Londra 2012 non siano affatto sostenibili come promesso dal comitato organizzatore».
Alexander si era dimessa a marzo dal suo ruolo di garante quando il Locog ha accettato 7 milioni di sterline dalla Dow Chemichal, la multinazionale proprietaria della Union Carbide Corporation, responsabile del disastro chimico del 1984 che fece 25mila vittime a Bhopal. Nonostante le proteste degli ambientalisti e del governo indiano, il Locog non ha mai preso in considerazione l’idea di rinunciare ai soldi della Dow Chemical. Tanto meno a quelli della Bp che qui ha organizzato delle serata a base di jazz e cucina cajun per la nazionale americana. Nel nome dello spirito del golfo ovviamente, quello stesso golfo del Messico che una piattaforma della Bp a largo delle coste della Louisiana ha inondato di liquido nero nel 2010 nel più grave incidente ecologico della storia americana. Quando si dice sponsor sostenibili.
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