Gli economisti La crescita vero antidoto a Moody’s l’Ue agisca prima dell’agosto “dannato”

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Le quali stanno addensandosi anche a livello istituzionale (è di ieri la notizia della “consulta” europea permanente) in vista di agosto, mese dannato per la finanza in ogni angolo del pianeta. Non si contano i traumi che hanno investito l’economia in questo mese: nel 1971 finì il sistema di Bretton Woods con il dollaro convertibile in oro, nel 1982 il
Messico dichiarò bancarotta e innescò una crisi sudamericana spaventosa, nel 1984 il dollaro schizzò a 2400 lire, nel 1992 cominciò l’attacco alla lira che portò in settembre alla fine dello Sme, nel 1998 ci fu il default della Russia, l’anno scorso la crisi dell’euro. Con queste fosche precognizioni ci si avvia all’Eurogruppo del 20 luglio: la speranza è che la Germania riconosca definitivamente che il risanamento della finanza pubblica e le riforme strutturali non possono essere fatte in tempi brevi come dimostra l’esperienza di Grecia, Spagna, Italia.

Angelo Riccaboni, Rettore / Sviluppo prioritario ma è il momento di regolare i mercati    


1. Sui mercati grava l’incognita Moody’s ma soprattutto pesa tutto quello cui Moody’s fa riferimento, a partire dall’instabilità  politica e dalle incertezze per il dopo-elezioni. Come diceva il ministro Barca nell’intervista al vostro giornale (ieri, ndr) serve per ora un governo che gestisca efficacemente l’emergenza finanziaria, in cui si sostanzia principalmente il mandato dell’esecutivo tecnico, ma dopo le elezioni servirà  un establishment politico che affronti con credibilità  un ampio spettro di riforme, temi “alti” e diversificati dalla produttività  alla sostenibilità  fino alle nuove opportunità  nell’agricoltura di qualità . Finché non si sarà  creato un quadro istituzionale all’altezza di queste sfide di lungo termine, sui mercati dominerà  l’incertezza.
2. Anche in questo caso, oltre a proseguire sul terreno dello sviluppo dove da qualche settimana c’è un consenso molto più ampio, il vertice dovrebbe affrontare questioni di fondo non meno importanti. Per esempio prendere spunto dalla posizione durissima assunto dalla Bank of England contro la Barclays per l’affaire del libor truccato, per piantare alcuni utili paletti in tema di regolazione dei mercati finanziari e dell’enforcementdi queste regole. Qui l’Europa ha veramente la possibilità  di giocare tutta la sua credibilità , e ora che in Europa ci sono leader prestigiosi come il nostro premier, è il momento di farlo.

Paolo Guerrieri, docente / Non è sventato il pericolo greco ora rischiamo noi   


1. Temo che non ci sia altro da prevedere che la continuazione delle incertezze e della volatilità  in vista dell’estate di fuoco alla quale tutti si preparano. La situazione si sta avvitando. Non c’è più solo l’Europa: l’America ormai procede a un passo da quasi-recessione (meno del 2% di crescita) ed è in atto un rallentamento globale. Su una cosa Moody’s ha ragione: l’Italia è vulnerabile alle crisi esterne tipo Grecia e Spagna, e queste diventano ogni giorno più probabili. È colpa dell’Europa: non è stato sventato in alcun modo il pericolo greco e spagnolo, anzi.
2. È prioritario accordarsi sulle clausole di condizionalità  del fondo salva-spread e varare una volta per tutte i finanziamenti alla Spagna. Non sarà  facile perché, se sono vere le indiscrezioni trapelate, le condizioni saranno vessatorie. Poi si deve stringere sul varo dell’Esm, migliorare intanto l’operatività  dell’Efsf, incrementare le risorse per farli operare tutti e due. Si deve cercare a ogni costo, con vero spirito comune, di bypassare le contestazioni, dalla Finlandia, da alcuni gruppi tedeschi, da ovunque vengano. Bisogna finirla con la farraginosità  degli interventi, quasi che non ci si credesse nelle misure che vengono ideate. Se non si scende sul concreto non serve a nulla quello su cui tanto faticosamente ci si è accordati a livello politico.

Fabrizio Pezzani, studioso / Subito la Tobin tax per scoraggiare la speculazione  


1. È difficile fare previsioni per il semplice fatto che Moody’s si comporta in modo irrazionale o perlomeno asimmetrico rispetto alla realtà  italiana. Non si può continuare a valutare ogni 10 giorni un Paese come fosse una corporation: gli Stati hanno bisogno di tempi lunghi e di un’analisi più articolata che tenga conto della cultura e della storia in cui sono inseriti, in questo caso quella europea che è fondata sulla sussidiarietà  e non sulla competitività  spietata del modello americano. Si vede da ogni comportamento. Prendiamo le vertenze industriali: la Germania ha risolto la crisi Volkswagen 15 anni fa senza licenziare nessuno e riducendo gli orari, la Gm ha mandato a casa 40mila persone.
2. Coerentemente con questa differenza, e ferme restando le contingenze tipo Esm da risolvere subito, bisogna pensare a regole severe che disincentivino la speculazione sui titoli pubblici. Un buon inizio sarebbe creare la Tobin Tax dell’area euro: non è difficile, basta dire che solo i titoli europei sono monetizzabili in Europa. Insomma, è urgente prendere le distanze dallo schema tuttafinanza che si vuole imporre. L’Europa deve rendersi indipendente. Per esempio, non è accettabile che l’Italia abbia così tanti derivati creati dalle banche americane negli anni ’90 che le minusvalenze superano i 30 miliardi.

Rainer Masera, tecnico /  Una stretta sui cds potrà  contenere gli effetti distorsivi   


1. Il mercato è più intelligente di quanto si crede e riesce a discernere i segnali veri o falsi. Non esageriamo con l’importanza del rating ma cogliamo l’occasione per riformare i meccanismi distorsivi. Fra di essi, il mercato non ufficiale dei cds (credit default swaps), i certificati che dovrebbero assicurare contro il fallimento dei debiti sovrani. Li emettono le banche internazionali, sono le banche stesse a fare il mercato senza garanzie centralizzate né authority di controllo, e sempre le banche inopinatamente si possono rifiutare di onorare questi contratti com’è successo in Grecia. I problemi sono collegati: è anche sull’andamento dei cds che le agenzie fanno il rating, e poi il rating influenza lo spread. Un circuito diabolico che porta lontano dalla vera valutazione di un Paese: la posizione dell’Italia è più solida di quanto indichino questi parametri e la finanza pubblica è sotto controllo.
2. Il vertice dovrebbe affrontare questi problemi a partire dall’Agenzia europea di rating. Invece credo che non si farà  altro che proseguire nella lentissima marcia di avvicinamento da parte del governo tedesco a posizioni più possibiliste in termini di austerità  e crescita. Tra l’altro è importante sollevare con forza il problema, e Monti ha il carisma per farlo, dello sganciamento – dai conteggi del fiscal compact – degli investimenti cofinanziati dalla Bei.

Tito Boeri, esperto / Danno già  fatto l’Italia risentirà  del nuovo rating    


1. Le agenzie di rating non forniscono informazioni aggiuntive sulla sostenibilità  del debito rispetto a quanto i mercati non sappiano già . Perciò il downgrading non sembra avere avuto effetti immediati, a giudicare dall’asta di venerdì e dal rendimento nel secondario quel giorno. Ma la decisione non è irrilevante: a seguito di essa, i titoli di Stato italiani usciranno da diversi panieri globali comprati dai grandi investitori istituzionali. Inoltre costerà  di più per le banche straniere utilizzare i nostri titoli di Stato come garanzia e si ridurrà  l’esposizione sull’Italia.
2. Non mi faccio troppe illusioni. Il vertice del 29 giugno, salutato trionfalmente da molti giornali, ha portato a risultati limitati. Possiamo sperare in ulteriori piccoli passi verso l’unione bancaria e l’assegnazione alla Bce della supervisione. Del resto il grosso dell’azione nell’immediato spetta alla Bce. Che deve però perseguire una strategia di comunicazione che parli più al mercato e meno ai governi, e che deve portare il tasso sui depositi in territorio negativo per contrastare gli effetti dei downgrading sull’esposizione delle banche dei Paesi forti verso i Paesi deboli. Altrimenti la Bce, come per il programma Ltro, spingerà  verso la nazionalizzazione del debito, rendendo più forte il rischio di un collasso dell’euro.


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