Georges Perec Quelle ossessioni di un falsario pronto a uccidere
Conosceva poco il mondo. Dalle sue dita potevano nascere solo fantasmi. Forse era quello il suo limite. Tecniche millenarie che non servivano a niente, che rimandavano solo a se stesse. Dita magiche. Tra l’abilità di un orafo romano, la scienza di un pittore del Rinascimento, il colpo di pennello di un impressionista, e la capacità – pazientemente acquisita – di sapere sempre esattamente quale materia utilizzare, quale preparazione effettuare, quale elasticità raggiungere, il rapporto era solo tecnico. Le sue dita sapevano. Il suo sguardo coglieva l’opera, ne determinava il movimento essenziale, ne disseccava ogni minimo elemento, traducendolo nel linguaggio assimilato di un collante più o meno fluido, di un vettore, di un supporto da scegliere. Funzionava come un meccanismo
ben lubrificato. Sapeva ingannare. Sapeva comporre un impasto. Aveva letto Vinci e Vasari, e Ziloty, e il Libro dell’Arte; conosceva le leggi del Numero d’Oro; sapeva cosa significasse – e come ottenere – l’equilibrio, la coestello
interna di un quadro. Sapeva quali pennelli utilizzare, quali oli, quali colori. Conosceva tutti i gessi, tutti i supporti, tutti gli additivi, tutte gli smalti. E poi? Era un buon operaio. Da quattro tele di Vermeer, Van Meegeren ne creava una quarta. Dossena faceva lo stesso con le sue sculture; come pure Joni Icilio e Jérà´me. Ma non era quello che egli aveva cercato. Dagli Antonello da Anversa,
Londra, da Monaco, da Vienna, da Parigi, da Padova, da Francoforte, da Bergamo, da Genova, da Milano, da Napoli, da Dresda, da Firenze, da Berlino, sarebbe potuto nascere con ammirevole evidenza un nuovo Condottiero salvato dall’oblio, grazie alla miracolosa scoperta, in un monastero o in un carenza abbandonato, ad opera di Rufus, Nicolas, Madera o di un’altra delle loro comparse. Non era quello che voleva, no? Quale illusione lo aveva cullato? Quella di riuscire a fare un giorno – al termine di un’incontestabile carriera – ciò che nessun altro falsario prima di lui aveva mai osato tentare: vale a dire la creazione autentica di un capolavoro
del passato, la riscoperta immediata e sensibile, dopo dodici anni di accanito lavoro, al di là dei segreti tecnici, al di là dei mezzi di fabbricazione, al di la della conoscenza perfettamente banale del gesso duro e del camaà¯eu, la riscoperta di quell’esplosione di trionfo, di quella perpetua riconquista, di quel dominio in divenire che fu il Rinascimento. Perché aveva cercato proprio quello? Perché aveva fallito? Restava il sentimento di un’impresa assurda. Restava l’amarezza di una sconfitta. Restava un cadavere. Una vita distrutta all’improvviso, dei ricordi fantasma. Restava una vita raffazzonata, un’incomprensione senza appello, un vuoto, un richiamo disperato… Adesso sei solo e resti a marcire nella cantina. Hai freddo. Non capisci più nulla. Non sai più cosa sia successo. Non sai più come tutto ciò sia potuto accadere. Sei tu che sei vivo, qui, in questo stesso posto, tu dopo dodici anni di una vita che non assomigliava a nulla, che in sé non portava nulla. Ogni mese, ogni anno tu sputavi il tuo piccolo carico di capolavori. E poi? E poi niente… E poi Madera è morto. Il braccio alzato, il lampo della lama. Era bastato un solo gesto. Ma prima era stato necessario tirare fuori il rasoio dalla custodia, verificare il suo stato, piegarlo nella mano in modo da potersene servire, uscire dal laboratorio, salire uno a uno i gradini. Uno a uno. Lentamente. Ad ogni passo, lo scopo diventava più preciso. A cosa pensava? Perché pensava? Ne aveva perfettamente coscienza: stava salendo le scale per andare a tagliare il collo a Anatole, il collo dello scomparso Anatole Madera. Il collo spesso e grasso d’Anatole Madera. La sua mano sinistra completamente aperta per garantire una presa migliore, avrebbe fatto pressiOne sulla fronte, con rapidità e fermezza, avrebbe tirato all’indietro, e la sua mano destra con un colpo solo avrebbe tranciato la carne. Il sangue sarebbe schizzato. Madera sarebbe crollato. Madera sarebbe morto.
Aveva fatto tutto ciò.
(traduzione di F. Gambaro) , Le Condottière ® à‰dition du Seuil/La librairie du XXI siècle
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