Fiat, Opel, Peugeot-Citroen così frena il modello europeo
TORINO — In Europa ci sono impianti per produrre due milioni e mezzo di auto più del necessario, tra gli 8 e i 10 stabilimenti in eccesso, almeno 40 mila posti di lavoro a rischio. Tutti gli analisti, da tempo, concordano su questi ordini di grandezza per definire le dimensioni della crisi europea del settore. Tema tornato drammaticamente d’attualità per l’annuncio di Peugeot di voler tagliare 8 mila posti e di chiudere lo stabilimento di Aulnay dove oggi si produce la C3. Oltre alla chiusura della fabbrica, altri licenziamenti verranno realizzati nel resto dl gruppo. Il taglio equivale al 10 per cento della forza lavoro.
Il timore è che quella della casa francese sia solo la prima puntata di un drammatico film. Negli ultimi cinque anni
il mercato dell’auto europeo è crollato di oltre 2 milioni di pezzi, da 15,6 a 13,4 auto vendute. Difficile dire se questa differenza corrisponda esattamente alla sovracapacità installata. Quel che è certo è che si tratta di medie. E che ci sono Paesi come la Germania dove il mercato continua a tirare e la produzione anche: le fabbriche tedesche sfornano circa 5,5 milioni di vetture all’anno e hanno un utilizzo degli impianti del 90 per cento.
Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla situazione italiana dove nel 2012 si prevede una produzione di sole automobili (senza contare dunque i circa 200 mila veicoli commerciali realizzati in Abruzzo) che si aggira intorno
alle 400 mila unità . Qui l’utilizzo degli impianti è tra il 50 e il 75 per cento a seconda delle fabbriche. Le linee della Fiat, se sfruttate al massimo, potrebbero produrre 1,4 milioni di automobili nei dodici mesi, un milione in più di quanto non avvenga oggi. Dunque, dei quasi 2,5 milioni di sovracapacità installata oggi in Europa, circa metà si troverebbe in Italia. Un calcolo drammatico. Naturalmente la speranza è che il mercato delle quattro ruote si riprenda e che la Fiat sia in grado di proporre i modelli giusti per intercettare un’eventuale ripresa.
Certo, oggi la situazione italiana è molto difficile. Non stanno bene i francesi, ma non possono essere tranquilli nemmeno i tedeschi. Perché se è vero che la Volkswagen va a gonfie vele e punta alla leadership mondiale, i cugini della Opel, controllata dalla Gm, navigano in cattive acque. Due anni fa hanno annunciato la chiusura dello stabilimento belga di Anversa: si tratta della stessa fabbrica che Marchionne aveva annunciato di voler chiudere durante la trattativa, poi fallita, per rilevare la casa tedesca. All’epoca l’annuncio dell’ad del Lingotto aveva provocato fiere reazioni in Germania. Ora la chiusura di Anversa è cosa fatta e si teme anche per un altro stabilimento simbolo, questa volta su suolo tedesco, come Bochum.
Il rischio dell’effetto domino è, insomma, abbastanza concreto. Tenendo conto che uno stabilimento di medie dimensioni occupa poco più di 5.000 persone e produce fino a 350 mila auto all’anno, se davvero si volesse ridurre di 2-3 milioni la capacità produttiva, bisognerebbe dunque tagliare tra gli 8 e i 10 stabilimenti nel Vecchio Continente. La politica, in tempi di crisi come questo, sarà in grado di governare un simile sconvolgimento?
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