Fabbriche, Autostrade, Centrali la Finanza punta sull’Economia reale

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NEW YORK — Speculatori all’attacco contro l’Italia e l’euro? Qualcuno ha ancora in mente il ricordo del 1992, l’offensiva dei fondi di George Soros contro la lira e la sterlina. Ma oggi la situazione è molto diversa. Se i nostri Btp faticano a trovare compratori all’estero nonostante le azioni di risanamento avviate dal governo Monti, se lo «spread» rispetto ai titoli tedeschi è tornato a livelli record, è più la conseguenza di una vera fuga dal rischio che l’effetto di qualche «trappola» finanziaria costruita a tavolino. «Qualche operazione speculativa ci sarà  pure, fa parte della fisiologia del mercato, ma oggi Wall Street sta largamente a guardare: i grandi investitori non scommettono più sul debito sovrano europeo perché la vostra situazione è troppo complessa, indecifrabile, i rischi sono troppo numerosi», ci dice Zachary Karabell, uno degli analisti più ascoltati dal mercato, titolare della società  di ricerca River Twice Research da lui fondata dopo aver lasciato la vicepresidenza del fondo d’investimenti Fred Alger.
Invece di prendersela con personaggi-simbolo come il grande gestore di «hedge fund» John Paulson, insomma, per capire quello che sta succedendo conviene osservare le mosse di entità  istituzionali come i fondi pensioni o Pimco, il maggior fondo obbligazionario del mondo. A non vedere, almeno per ora, segnali della temuta offensiva speculativa di agosto è lo stesso ministero del Tesoro che, anzi, nell’asta della scorsa settimana (Btp triennali) ha registrato un ritorno d’interesse di alcuni investitori stranieri la cui domanda è andata oltre quota 50 per cento. Investitori europei, qualche soggetto cinese e soprattutto molti acquisti da parte giapponese. Ma a rendimenti proibitivi. Anche perché adesso gli investitori sono spaventati dalla crisi finanziaria della regione Sicilia.
Una spia significativa di quello che sta succedendo la troviamo nelle parole di Bill Gross, il fondatore di Pimco, che ieri ha lanciato il suo nuovo slogan: «Go real». Un invito a proteggersi in tempi molto rischiosi e volatili investendo in entità  finanziarie basate su «asset» reali: fabbriche, autostrade, centrali elettriche eccetera. E’ questa, secondo l’esponente del fondo californiano (che forse teme un ritorno dell’inflazione), the «best bet», la scommessa più ragionevole in tempi così incerti.
Quanto agli «hedge», per adesso non sembrano «remare contro», anche perché speculare contro un Paese come l’Italia, con un debito pubblico da quasi duemila miliardi di euro, può anche essere molto redditizio, ma richiede la mobilitazione di una massa finanziaria enorme di cui ben pochi dispongono. «E poi» aggiunge Karabell, «è troppo forte il rischio di scottarsi qualora la Banca Centrale Europea decidesse di scendere massicciamente in campo per fronteggiare l’emergenza. Piuttosto io vedo degli “hedge” che stanno scommettendo a favore, non contro l’Europa. E’ il caso di Avenue Capital che ha investito quasi 3 miliardi di dollari nel debito di società  europee in difficoltà ».
Qui, però, bisogna intendersi: Avenue investe soprattutto su Francia, Gran Bretagna e Paesi scandinavi. Andando controcorrente rispetto agli umori prevalenti a Wall Street, scommette sulla tenuta dell’euro, ma, come nel caso di Bill Gross, lo fa preferendo al debito sovrano le società  con un grosso patrimonio tangibile. La scelta di Marc Lasry, il capo di Avenue Capital, è condivisa da altre case «storiche» di Wall Street come il gigantesco fondo Blackstone e Kohlberg Kravis e Roberts. Ora anche queste società  intensificano l’acquisto di «asset» in Europa. Scommesse che vengono definite di lungo periodo, «blindate» con gli «asset» reali.
In un mercato finanziario così vasto e articolato ci sono, comunque, diversi soggetti che rimangono impegnati sul fronte del debito sovrano. L’appetibilità  di quello dell’Italia, ovviamente, era calata quando l’esposizione continuava a crescere e i segnali di risanamento si erano fatti molto blandi. La vigorosa azione riformatrice degli ultimi mesi non è bastata a invertire la tendenza perché i rischi restano comunque troppo alti e quelli legati alla politica e alla gestione del debito in Italia si intrecciano con le minacce che vengono da Atene, con la crisi spagnola, col rischio di un crack bancario, con la difficoltà  di mettere in piedi un vero percorso di unificazione delle istituzioni politiche europee.
Molti fondi, in una simile situazione, preferiscono investire nei mercati obbligazionari extra Ue che offrono ugualmente rendimenti significativi senza comportare, almeno nell’immediato, rischi altrettanto elevati: Paesi come la Corea, l’Australia e perfino il Kazakistan. Ma c’è anche chi, soprattutto in Europa e in Giappone, mantiene un interesse per il mercato Ue del debito sovrano. E coi rendimenti tedeschi ormai negativi e la saracinesca calata sui titoli spagnoli, restano Francia e Italia. Al nostro Paese, però, vengono imposti rendimenti elevatissimi.


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