by Editore | 2 Luglio 2012 7:04
NAIROBI — Nonostante Garissa sia zeppa di agenti del controspionaggio keniota, i due attacchi, simultanei e apparentemente coordinati contro due chiese sono arrivati improvvisi ieri alle 10.15, durante la messa. Il più cruento ha colpito il semplice tempio, una grande baracca di legno, della confessione dell’African Inland Church. Due terroristi si sono mescolati tra la folla e altri due hanno aspettato fuori. Quando, a metà della funzione, i primi hanno tirato fuori i loro fucili e cominciato a sparare, i secondi hanno ammazzato a sangue freddo due soldati di guardia e attaccato la folla in fuga. È stata tirata anche una granata. Un massacro: 15 morti e decine di feriti.
Nello stesso momento altri tre terroristi hanno attaccato armi in pugno la cattedrale cattolica di Garissa. Tre i feriti. Il racconto ufficiale degli attacchi viene fatto al telefono con il Corriere da uno dei capi della polizia di Garissa, Philip Ndolo. Ma il bilancio delle vittime sembra errato per difetto. All’obitorio di Garissa, infatti, hanno contato 17 corpi, ma, assicura uno dei funzionari, «altri due li stiamo aspettando. Sono morti all’ospedale. Un terzo è stato trovato vicino a una delle due chiese attaccate». Il conto arriva a venti. I medici dell’ospedale, invece, non sono sicuri del numero dei feriti: «Una cinquantina, alcuni gravi. Forse non arriveranno a domani», taglia corto l’interlocutore. Altri, con lesioni gravissime, sono stati ricoverati negli ospedali di Nairobi.
Dall’invasione delle truppe keniote in Somalia, nell’ottobre scorso, gli attentati in Kenya si sono susseguiti. I primi, attacchi con granate contro night club, centri commerciali, stazioni degli autobus, sono sembrati opera di singoli, probabilmente fanatici. Quello di ieri segna un salto di qualità , come se i terroristi — molto probabilmente gli shabab somali — fossero andati a scuola dai loro colleghi di Boko Haram, quelli che quasi ogni domenica con fredda determinazione criminale compiono stragi nelle chiese nel nord della Nigeria.
La Santa Sede esprime orrore e preoccupazione. «Spero solo che si tratti di due attentati da collocare nel contesto della situazione e non di una guerra di religione — ha commentato il nunzio apostolico in Kenya, Alain Lebeaupin —. Il consiglio dei musulmani qui, peraltro, ha condannato gli attacchi».
Garissa è una città di poco più di centomila abitanti ad est della capitale keniota e a meno di cento chilometri dalla Somalia. La sua popolazione è prevalentemente di etnia somala. È sede di un importante base militare da cui partono gli ordini e il supporto logistico per le truppe keniote che hanno invaso l’ex colonia italiana con il compito preciso di dare la caccia agli insorti islamici shabab. E gli shabab hanno giurato vendetta, moltiplicando le minacce. Gli americani nei giorni scorsi hanno raccomandato ai loro concittadini di evitare i viaggi «non essenziali» a Mombasa, seconda città del Kenya.
Venerdì scorso un gruppo di miliziani somali ha attaccato un convoglio di aiuti umanitari nel campo profughi di Dadaab — in territorio keniota a 60 chilometri da Garissa — dove sono ammassati oltre 400 mila somali. Ammazzato l’autista, gli assalitori hanno rapito un norvegese, un canadese, un filippino, un pachistano e due kenioti. Hanno però mancato l’obiettivo più importante: la cattura del Segretario generale del Consiglio Norvegese per i Rifugiati, Elizabeth Rasmussen, che viaggiava nella carovana.
La paura serpeggia a Nairobi. Ci si attende quello che tutti chiamano il «Big Bang», un grande attentato contro un obiettivo vitale o simbolico, come promesso dagli shabab. Le misure di sicurezza in città sono state rafforzate, ma viene ricordato in continuazione il feroce attentato rivendicato dagli shabab il 12 luglio 2010 a Kampala, in Uganda: durante la finale del campionato del mondo di calcio furono attaccati due locali zeppi di telespettatori: i morti furono un’ottantina.
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