“Divario di tassi immotivato il vostro Paese non se lo merita”

by Editore | 17 Luglio 2012 8:28

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ROMA â€” «Certo, c’è ancora moltissima preoccupazione, soprattutto sull’Europa dove i mercati restano in forte tensione. La sfida è tutta aperta ed è chiara: si tratta non solo di portare avanti l’aggiustamento fiscale in tutta Europa ma anche contemporaneamente di convincere i mercati che l’euro è un progetto fattibile». Carlo Cottarelli, dal 2008 direttore del dipartimento Affari Fiscali dell’Fmi, dove lavora dal 1988 dopo l’esperienza in Banca d’Italia, non si nasconde che proprio l’area della moneta unica sia l’epicentro della tempesta finanziaria che scuote il pianeta e delle paure che ne nascono. E si interroga su alcuni paradossi che stanno avendo conseguenze disastrose: «Nell’eurozona – ci spiega dopo la presentazione del Fiscal Monitor – si verifica una differenza fra la percezione dei mercati sui vari Paesi e i fondamentali degli stessi Stati. Di qui un livello degli spread che appare immotivato. Sia per la Spagna che per l’Italia, questo differenziale dovrebbe essere di almeno 200 punti inferiore. Ma tutto ciò riflette la doppia sfida di cui parlavo: abbassare gli spread è la principale prova che l’area euro si trova attualmente a fronteggiare».

Nella vostra infornata di report, si legge che Italia e Spagna, rischiano di non potersi finanziare a tassi accettabili. È così grave la situazione? «Spagna e Italia stanno realizzando notevoli riduzioni di deficit per recuperare la fiducia dei mercati. Le misure fiscali sono necessarie ma da sole non bastano per risolvere la crisi. Così come è vero che focalizzarsi solo sugli obiettivi nominali di riduzione del deficit, a livello di area euro, può condurre ad un’eccessiva stretta in presenza di economie che rallentano. Bisogna sempre, una volta fissati gli obiettivi, perseguirli con riforme strutturali in grado di garantire un risanamento di medio e lungo termine, misure sia nazionali che europee che assicurino l’integrazione dei mercati e un’appropriata liquidità  sia ai sistemi bancari che ai mercati dei debiti sovrani di tutti i Paesi. Si deve conseguire un aggiustamento stabile e strutturale, altrimenti qualsiasi “strappo” risulta rischioso. I Paesi più fortunati, quelli con rapporti debito/ Pil e deficit/Pil più favorevole, possono anche permettersi, se si verificano determinati shock, di ampliare temporaneamente il debito. Per Italia e Spagna c’è minore flessibilità ».
Quindi anche lei è d’accordo che troppe tasse siano intollerabili per un Paese già  indebolito?
«Il dibattito sull’austerità  è difficile e politicamente insidioso in tutta Europa. E’ chiaro che ci vuole un aggiustamento fiscale graduato da Paese a Paese a seconda di una serie di considerazioni, fra le quali la pressione dei mercati».
In Grecia e in Spagna siamo alle rivolte di piazza…
«Infatti le misure vanno graduate con attenzione e possono essere aggiustate a seconda delle esigenze specifiche. In Spagna erano state annunciati obiettivi ambiziosi che poi sono stati rivisti. La Grecia costituisce un caso di
adjustement fatigue
in condizioni drammatiche da considerare con ancora maggior attenzione.
Ma le riforme vanno fatte, e la necessità  di convergenza nell’area euro non può essere elusa».
Tornando all’Italia, perché considerate ancora in crescita il rapporto debito/Pil fino a oltre il 126% l’anno prossimo malgrado tutti i sacrifici che il Paese sta facendo? Anche per i costi degli
stessi salvataggi in Europa, cioè la nostra quota nell’Efsf/Esm e i prestiti bilaterali alla Grecia?
«Beh, quelli aumentano del 2,5% il debito però non devono essere considerati degli aggravi permanenti, piuttosto sono l’apertura di posizioni finanziarie. No, il concetto è che le riforme,
che in Italia sono state per la maggior parte avviate grazie all’opera determinata di questo governo, hanno bisogno di tempo per avere effetti sul rapporto debito/Pil. In un periodo di bassa crescita è più difficile evitare un aumento di tale
ratio.
Consideri che quel 126,4% per il 2013 sarà  il picco: per tutti gli anni successivi il rapporto scenderà  progressivamente. Nel frattempo, l’Italia avrà  conseguito un pur minimo avanzo primario dello 0,7% del Pil. Noi consigliamo di portare questa quota almeno all’1% per avere più spazio di manovra e anche margini di sicurezza in caso succedesse qualche altra sciagura economica».

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