D’Ambrosio, il dolore di Napolitano Severino: voleva dimettersi

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ROMA — Il capo dello Stato Giorgio Napolitano, commosso, sosta sul portone della chiesa per qualche secondo. Resta immobile, silenzioso. Guarda l’auto che ospita la bara di Loris D’Ambrosio. Poi si avvicina, poggia una mano sul feretro e dà  l’estremo saluto al suo amico e consigliere, scomparso a Roma per un attacco cardiaco, dopo le pesanti polemiche che hanno accompagnato le indagini sulla trattativa tra Stato e mafia. Nella chiesa di Santa Susanna, qualche minuto prima sono risuonati i discorsi di commiato del ministro della Giustizia Paola Severino e del primo presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo. Il guardasigilli, per «stemperare quell’atroce rammarico» espresso dopo la morte dal presidente, rivela che D’Ambrosio si dimise e che la lettera con la quale il capo dello Stato respingeva le dimissioni fu di «grande conforto» per il consigliere. Lupo fa risuonare nel silenzio della Chiesa il suo j’accuse contro chi ha «sparso sfiducia generalizzata verso le istituzioni», con «insinuazioni» e «generici sospetti senza rispetto per la storia personale».
Don Franco Sartori, cappellano del Quirinale, e padre Domenico Pacchierini, cappellano di Santa Susanna, scelgono brani evocativi, non casuali. Brani tratti dal Vangelo di Matteo: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». Letture dal libro della Sapienza: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà ». In prima fila ci sono la moglie di D’Ambrosio, Antonella, e i figli, Silvia, Giulio, Valerio. Il presidente è con la moglie Clio. Ci sono magistrati e uomini delle istituzioni, Piero Grasso, Gianni De Gennaro, Edmondo Bruti Liberati, Luca Palamara. Ci sono politici, Gianni Letta, Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema, Gaetano Quagliariello, Beppe Pisanu. C’è la sorella di Giovanni Falcone, Maria. L’assente eccellente è Nicola Mancino, l’ex ministro le cui telefonate intercettate dai magistrati sono state al centro delle polemiche.
L’improvvisa morte di D’Ambrosio è stata un colpo duro per il presidente, che scrisse una nota dura: «Atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose». «Difficilissimi momenti», li definisce la Severino, in lacrime come il presidente, che parla dei «danni» che reca alla giustizia «la cultura del sospetto». E ricorda che D’Ambrosio «non riusciva a capacitarsi di come potesse essere accusato, con tanta veemenza, di aver voluto interferire su indagini in tema di mafia, proprio la materia che aveva costituito il centro di un suo impegno così intenso».
Poi è il presidente della Cassazione a parlare. Ricorda il periodo di D’Ambrosio in magistratura, «quando raccolse il testimone di Mario Amato, con le istituzioni giudiziarie aggredite dall’eversione neo fascista». Il suo ruolo all’Alto commissariato Antimafia e poi al ministero della Giustizia, dove lavorò alla Direzione affari penali con Giovanni Falcone. E infine alla presidenza della Repubblica, con i presidenti Ciampi e Napolitano. Lupo descrive «un uomo riservato e schivo» e rende omaggio «al suo rigore etico e professionale», per «farlo conoscere a un’opinione pubblica spesso frastornata e confusa dalle polemiche, voci, insinuazioni, generici sospetti, che tutto intossicano e offuscano, spargendo sfiducia generalizzata verso le istituzioni e tutti uguagliando negativamente senza alcun rispetto per la storia personale, per le identità  costruite nel corso di una vita di impegno e di serietà ». Poi continua attaccando «l’atteggiamento di sospetto facile, superficiale, generalizzato, al di là  delle pur possibili buone intenzioni», clima che produce la conseguenza di non far «distinguere chi compie gli atti di illegalità  da chi li combatte». Sono «fraintendimenti, equivoci drammatici, che provocano sofferenze e dolore». 
Maria Falcone dà  tutto il suo sostegno a D’Ambrosio: «Non c’è persona alla quale gli italiani debbano dire grazie per la lotta antimafia più di Loris D’Ambrosio». Ma tra politici e magistrati è ancora polemica. Angelino Alfano parla di «reputazione data in pasto ai giornali». Fabrizio Cicchitto attacca frontalmente «il segno della barbarie fanatica che caratterizza alcuni esponenti della Procura di Palermo, alcuni esponenti dell’Idv e un giornale d’assalto come Il Fatto quotidiano». Gli risponde l’idv Felice Belisario: «Proprio Cicchitto, tessera P2 numero 2232, accusa l’Idv di eversione?». Si sente anche la voce del presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli: «Voler collegare la morte di D’Ambrosio alle indagini di Palermo è una strumentalizzazione che va respinta ed è di cattivo gusto». Interviene anche Casini, alla fine della cerimonia: «Bisogna avere rispetto: la faziosità  non può prevalere sulla verità ». E tra Michele Vietti (Udc) e il Pdl si accende una polemica sulle responsabilità  di una mancata legge sulle intercettazioni.


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