by Editore | 5 Luglio 2012 6:26
Sul mercato editoriale sono presenti da quasi 15 anni, nel 1999 hanno pubblicato un long-seller, Q, con Einaudi Stile Libero, da oltre 300.000 copie firmato Luther Blissett poi, subito dopo, hanno cambiato nome. Hanno sempre spinto per la libera circolazione dei loro libri, con copyleft (gioco di parole che smonta il concetto di copyright) e download gratuito delle proprie produzioni. Oggi, tra crisi economica, fuga di 700.000 “lettori forti” (dati dell’Aie), perdita del potere d’acquisto e diffusione di tablet e e-reader si interrogano sul futuro del mestiere dello scrittore. I Wu Ming, collettivo di autori bolognesi, lo fanno in pubblico, su
Giap, il loro blog, interloquendo con i lettori. L’ultimo post è un’“Operazione trasparenza” giunta all’ottava edizione: i Wu Ming offrono i dati di vendita dei loro libri nel 2011. Con una sorpresa: per la prima volta aumenta vertiginosamente il numero di coloro che scaricano gratuitamente i romanzi dal loro sito e, contemporaneamente, in libreria calano le vendite della backlist, il loro catalogo. Per dare qualche numero: all’inizio dell’anno, quando su Giap è stata messa online la nuova pagina con i libri scaricabili in più formati, in poche settimane, Q è passato dai 1.800 download di gennaio a poco più di 4.000 a febbraio, Manituana da 438 a 1.925, Guerra agli Umani
da 265 a 1.498. Wu Ming 1, pentiti di aver spinto troppo sulla linea del “free download”?
«Per niente. E non abbiamo nessuna intenzione di tornare indietro. A parte che il mercato degli e-book praticamente in Italia non esiste. La quota dei download di libri a pagamento è minuscola. Anche negli Usa la tendenza è sopravvalutata, e-reader e tablet sono un fenomeno reale, ma il mercato degli e-book è una bolla. Noi siamo diventati Wu Ming anche grazie a questa filosofia. Le opere circolano, tu sei più conosciuto e hai anche un ritorno d’immagine perché lasci aperto un contenuto che gli altri recintano. Grazie a questo si innescava un circolo virtuoso tra copie scaricate e copie vendute in libreria».
Un circolo virtuoso che pare essersi spezzato se, per alcuni vostri titoli, nell’ultimo anno, il rapporto è 9.000 download a fronte di 200 copie vendute. Da cosa dipende?
«Dalla crisi: la gente non ha una lira in tasca e fa fatica a spendere 20 euro per un libro. E poi dal fatto che, rispetto a 10 anni fa, ci sono più modi di leggere comodamente un libro in formato elettronico. In ogni caso, i titoli ripubblicati in collane economiche reggono meglio: se hanno un prezzo abbordabile anche la forbice tra download e libri venduti si restringe. Nel caso di Altai, il nostro romanzo di gruppo più recente e già disponibile in economica, la forbice quasi non c’è».
Quanti lettori avete perso?
«I lettori non si sono “persi”, sbaglia chi imposta il dibattito in questo modo. Gli editori hanno perso acquirenti. Si legge ancora ma si compra molto meno. Non conosco nessuno a cui piacesse leggere che ha smesso di farlo. Magari si legge altro, si legge di più in rete, si va in biblioteca, si compra l’usato. Quanto a noi, abbiamo avuto oltre 100mila download di nostri libri in 12 mesi e
Altai, nei primi due anni, ha venduto il doppio di Q. Il calo riguarda l’acquisto dei vecchi titoli».
Allora bisogna aumentare la produttività ?
«Per il modo in cui noi scriviamo i romanzi collettivi, tra ricerche d’archivio, tanti personaggi, intreccio denso, non riusciremo mai a scodellare un libro l’anno. Non siamo quelli che possono consegnare un romanzo storico su Giulio Cesare, cotto e mangiato, in tre mesi».
Gli editori come stanno rispondendo alla crisi dal vostro punto di vista?
«Male e in ritardo. Mi sembrano impreparati. Dovevano porsi il problema del digitale già 10 anni fa. Avrebbero dovuto imparare dall’industria musicale che è stata quasi spazzata via con la circolazione della musica nei formati digitali. Ora i cd sono un supporto defunto. Se gli editori avessero messo i libri in download gratuito e non avessero aumentato i prezzi del cartaceo tutti avrebbero goduto di quel circolo virtuoso. La risposta migliore è una maggiore apertura».
E per voi scrittori?
«Forse va creato un circolo virtuoso tra il web e la strada: i libri vanno concepiti come opere “transmediali” affiancando loro musica, illustrazioni, video ed esecuzioni dal vivo che non siano solo “promozione” ma facciano a tutti gli effetti parte dell’opera. Sono cose che già facciamo. Si tratta di farlo di più e meglio. Il libro resta importante, ma sarà solo uno degli aspetti della narrazione».
Basta cambiare modalità e aumentare il numero di presentazioni e esibizioni?
«Noi abbiamo sempre girato parecchio. Si tratta di ottimizzare e diversificare tra reading, letture musicate e altro. Ci piace questa dimensione. Abbiamo il mito dei folksinger girovaghi alla Woody Guthrie».
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