Corrispondenze dalla Cina a cavallo tra due epoche

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«Sono in tale situazione che tutto quello che scrivo lo getto nel cestino. Non solo per nervosismo, credi, ma perché quello che io scrivo è inadeguato a descrivere come si costruisce pacificamente in Cina il socialismo. È un’esperienza assolutamente nuova, bisognerebbe essere ben altrimenti ferrati per poterne scrivere a fondo. Del resto la crisi non è solo nostra, ma anche di altri più preparati di noi». È il 1956 quando Maria Teresa Regard così si confida con l’amico Giorgio Formiggini scrivendogli da Pechino, dove si trovava dal 1953 come corrispondente di «Nuovo Corriere», «Paese Sera» e «Noi Donne». Con lei il marito Franco Calamandrei, inviato dell’Unità . 
Anni decisivi, quei ’50. In piena guerra fredda, l’Asia si trova al centro della ridefinizione degli equilibri geo strategici mondiali. Cruciale sarà  in particolare il 1956. In Cina i 100 fiori iniziano la breve stagione della loro fioritura, in Unione sovietica le «rivelazioni» del rapporto Kruscev su Stalin sembrano aprire un’era nuova. Gli eventi successivi faranno subito volgere ben altrimenti i venti della storia ma la giornalista determinata a capire e incalzata da una passione politica forgiata dalla militanza combattente nella Resistenza romana, sceglierà  alla fine di osservarli in tutt’altra veste da Roma. Qui, interrotta la sua attività  giornalistica, rifiuta un posto di funzionario nel Partito comunista e riprende il lavoro impiegatizio all’Inam. Relativamente defilata, presa dal lavoro e dalla famiglia, manterrà  il suo contatto profondo con la Cina traducendo per gli Editori Riuniti una raccolta di saggi di Lu Xun, la prima edizione italiana del più grande scrittore cinese del ‘900.
L’interesse per l’antico mestiere tornerà  solo dopo il pensionamento e la morte del marito Franco, nel 1982, e allora Maria Teresa riprenderà  il percorso interrotto tornando in Cina, in Vietnam e in Tibet. Questa parabola di vita, intensa, fuori dal comune e al tempo stesso «normale», viene ora riconsegnata alla memoria e alla riflessione dal volumetto di Silvia Calamandrei Maria Teresa Regard (con postfazione di Renata Pisu, ali&no editrice 2012, pp. 104, euro 12; il libro fa parte della collana «le farfalle» diretta da Clara Sereni, i cui proventi sono in parte devoluti alla Fondazione «La città  del Sole» Onlus, che costruisce progetti di vita per persone con gravi problemi psichici). 
Non solo riconoscimento filiale per la madre, il libro è anche un omaggio alle scelte di vita e alla scrittura delle donne, con le loro interruzioni e i ritorni sui propri passi, con i loro tempi e luoghi, spesso sorprendenti. Silvia Calamandrei, che a sei anni era approdata con i genitori in Cina e che ancora oggi è una delle osservatrici più attente della grande trasformazione cinese, sottolinea soprattutto, nel percorso professionale e di vita di sua madre, il rovello a comprendere quello che accade per poterlo restituire in modo onesto ai lettori, come si evince dalla citazione che apre questo articolo. Una preoccupazione che, tal quale, a mo’ di testimone, è passata a Silvia e a tutti coloro che si trovano a dover raccontare ancora una volta, in tempi assai diversi, la mutazione straordinaria di un enorme paese dalla immensa civiltà , al quale il ‘900 non ha risparmiato nessuno dei propri sconvolgimenti. 
Così ancora oggi la Cina lascia sgomenti, apparendo di nuovo «un’esperienza assolutamente nuova», negli ircocervi economico-politico-sociali che sforna giorno dopo giorno, nella modernizzazione spregiudicata che avanza con modalità  arcaiche. L’inadeguatezza a descrivere rimane, ampliata dalla circostanza, che già  tormentava Maria Teresa Regard, di dover fare i conti con le gravi crisi del «proprio» mondo.
Il ritorno sui propri passi negli anni ’80 e ’90 ha consentito in qualche modo a Maria Teresa di riconciliarsi con i propri tormenti. Le sue corrispondenze di allora, una selezione delle quali è raccolta nel volume, raccontano una realtà  già  conosciuta e della quale si ricercano i vecchi tratti nelle trasformazioni radicali intervenute, aggiungendo così alla dimensione spaziale anche quella temporale. Sono anche corrispondenze più libere, rispetto ai legami politici cui era tenuta negli anni ’50. 
Del resto, la narratrice è cambiata. Come scrive Silvia Calamandrei, «ha perduto le sicurezze della gioventù, è costretta a relativizzare, a interrogarsi anche sul passato». Ha nostalgia di quei tempi in cui si pensava di vivere «nel migliore dei mondi possibili», è amareggiata per la caduta delle illusioni e tuttavia ancora vuole trovare risposta alle domande che «in passato non si era osato formulare». Anche se, come emerge chiaramente dagli scritti, per Maria Teresa i legami e le osservanze di un tempo non erano affatto riverenza ideologica ma profondo senso di appartenenza a chiari valori politici ed etici. Un’adesione profonda che non dà  tregua alla giornalista e la fa interrogare, negli anni ’50 come più tardi, sulla coerenza tra quello che vede e sente, l’auto rappresentazione del potere e del popolo che compendiano la trasformazione in slogan, e la sostanza dell’ideale.
Come scrive nella postfazione al libro Renata Pisu, un’altra grande veterana del giornalismo appassionato di Asia, in quegli anni lontani «pensavamo che tutto dovesse avere un senso e poi ci siamo ritrovate – parlo soprattutto per me – a dover fare i conti con tutto quello che non avevamo capito e che forse non potevamo capire». Ma, prosegue, ancora oggi, «dibattere la grande questione del ‘cambiamento di colore’ della Cina significherebbe addentrarsi in una riflessione amara sul fallimento di altre illusioni e speranze». Compito arduo ma necessario. Come Maria Teresa Regard insegna.


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