by Sergio Segio | 31 Luglio 2012 16:49
Se la tutela delle comunità indigene in Colombia é un principio riconosciuto sulla carta, altrettanto non si può dire nella realtà dei fatti. Nell’ultimo mese, solo per rimanere all’attualità più stretta, si é registrata una escalation delle tensioni tra Nasa (conosciuti anche come Paeces), forze dell’ordine e combattenti delle FARC. I Nasa sono una popolazione indigena amerinda presente nella regione andina de Cauca, nel sud-ovest della Colombia e che vive, in prevalenza, dei prodotti offerti dalla terra che abita (come mais, patate, caffè). Da anni la zona del Cauca é teatro di scontri tra diverse parti in causa (video[1]): da una parte la popolazione autoctona, dall’altra, armati, i ribelli delle forze rivoluzionarie e dall’altra ancora, sempre armati, la polizia e l’esercito.
La settimana scorsa, il tentativo della Guardia Indigena di scacciare dal proprio territorio la polizia di guardia in alcuni villaggi del Cauca é degenerato in violenti scontri che hanno provocato la cattura ed il ferimento di diversi militari e un morto tra la popolazione autoctona. Tutto questo ha reso necessaria la convocazione, da parte del governo, di un tavolo di dialogo tra forze politiche e rappresentanti Nasa. Questi ultimi, stanchi delle continua lotta armata tra militari e rivoluzionari, hanno chiesto che tanto i ribelli quanto la polizia e l’esercito abbandonino il territorio. Secondo i portavoce dei Nasa, se la presenza delle FARC costituisce, ovviamente, una grande minaccia alla pace e alla tranquillità della popolazione locale, altrettanto si può dire per le forze di polizia. Rappresentanti dell’ACIN[2] (Asociacià³n de Cabildos Indigenas del Norte del Cauca) fanno sapere di voler optare per un “pacifismo radicale. Non sopportiamo la presenza di nessun uomo armato, legalmente o illegalmente, e siamo disposti ad affrontare senza armi le FARC per la libertà della nostra terra. Se quello che guadagniamo dalla presenza della polizia e dell’esercito é più guerra, rinunceremo alla protezione dello Stato e ci auto organizzeremo per la nostra difesa”.
Per tutta risposta, il presidente della Repubblica Juan Manuel Santos ha fatto sapere che le forze di sicurezza non abbandoneranno né questa né nessuna zona del paese. Il Governo – mette in chiaro Santos – non può accettare la richiesta di ritiro; al contrario, deve proteggere tutti i cittadini. Il ritiro delle forze armate non sarebbe altro che un favore ai guerriglieri, che assumerebbero il controllo totale della zona. Niente gioverebbe più ai narcoterroristi che una lacerazione del rapporto di fiducia tra la società civile e lo Stato.
Non sono pochi quelli che, viste le richieste, accusano gli indigeni di collaborazionismo con le FARC. Queste ultime sono presenti nella zona da diversi anni, agli ordini del leader Edgar Là³pez Gà³mez, detto “Pacho Chino”, su cui pende una taglia di 1,4 milioni di dollari. Per dare risalto alla guerra armata contro il terrorismo e la criminalità , il Governo Santos illustra i numeri: “nel primo semestre di quest’anno, la cattura di membri delle FARC è aumentata del 76% e nel caso degli integranti dell’ ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) del 49%. Nelle ultime offensive sono stati eliminati i leader ribelli Afonso Cano e Mono Jojoy. Per via di questi risultati senza precedenti, la pressione militare contro il terrorismo continua”.
In Colombia, i Nasa non sono gli unici a soffrire la violazione del proprio diritto alla terra, costituzionalmente riconosciuto. Secondo la stessa Corte costituzionale, sono 35 i popoli indigeni minacciati[3] di estinzione a causa dei conflitti armati e delle espropriazioni forzose. Popoli come gli Arhuaco, i Nukak, gli Awa, i Wayuu o gli abitanti afro e indios del Chocò[4] vivono quotidianamente nell’incubo della guerriglia. Non solo: gran parte delle comunità deve affrontare gravi problemi socio-ambientali quali la povertà , la deforestazione e la sempre più scarsa produttività delle terre, condizioni igieniche e sanitarie precarie, mancanza di infrastrutture e difficile accesso all’istruzione di base. Molti dei villaggi sono oggi disabitati, per via dei fenomeni migratori verso le grandi città come Bogotà e Medellin. Le Nazioni Unite hanno sollecitato il governo ad adottare soluzioni contro lo stato di crisi acuta, secondo quanto previsto dagli accordi internazionali per la difesa delle popolazioni indigene.
Il 9 agosto si celebra la “giornata internazionale delle persone autoctone[5]“. Per la Colombia (e non solo) dev’essere l’occasione per ripensare le proprie politiche di aiuto allo sviluppo e di tutela delle popolazioni indigene[6]. Una tutela che non può limitarsi alla presenza militare e che deve trasformarsi in una presenza reale e sociale dello Stato, frutto di accordi condivisi con i beneficiari.
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