Cina, incriminata la moglie di Bo Xilai

by Editore | 27 Luglio 2012 9:11

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PECHINO â€” Il “principe rosso” che voleva riportare la Cina al maiosmo rischia la pena di morte e di assistere prima all’esecuzione della moglie. È il drammatico verdetto del nuovo capitolo del più grave scandalo politico che scuote il partito comunista cinese dal 1989 e che ricorda la resa dei
conti interna al potere nel 1976, con l’arresto della “Banda dei Quattro” all’indomani della morte di Mao Zedong. L’agenzia di stampa di Stato ha reso noto ieri che la seconda moglie di Bo Xilai, Gu Kailai, è stata rinviata a giudizio con l’accusa di «omicidio volontario ». Secondo la procura di Hefei, nella regione dell’Anhui, la donna ha avvelenato e ucciso con il cianuro l’uomo d’affari britannico Neil Heiwood, trovato morto in un albergo di Chongqing il 15 novembre dell’anno scorso. Gu Kailai, avvocatessa nota a livello internazionale, si sarebbe fatta aiutare dalla sua guardia del corpo, Zhang Xiaojun, pure accusato
del delitto. L’agenzia
Xinhuasi
è limitata a riferire che per i giudici «il crimine è chiaro e le prove sono sufficienti e inconfutabili».
Una sentenza già  scritta. L’omicidio volontario in Cina è punito con la pena di morte, sospesa e tramutata in ergastolo solo su iniziativa del governo, da cui dipendono le Corti del popolo. Per Bo Xilai, ex stella nascente del potere, improvvisamente rimosso dalla carica di sindaco di Chongqing a metà  marzo, significa che l’accusa di «gravi violazioni disciplinari » può ora trasformarsi in complicità  nell’assassinio. Il leader dei conservatori patriottici,
detenuto in un luogo segreto, avrebbe coperto la moglie e tentato di distruggere le prove contro di lei per evitare che il partito scoprisse i suoi capitali portati all’estero, frutto di anni di corruzione. Per i magistrati Gu Kailai, che avrebbe avuto una relazione con Neil Heiwood, ha ucciso perché l’ex amante, complice nell’esportazione del denaro, avrebbe alzato troppo il prezzo del silenzio.
È un intrigo politico, adottato come caso esemplare da un potere indebolito dalla corruzione dilagante, che spacca però il partito a poche settimane dal congresso
chiamato a rinnovare la leadership. A turbare la Cina, già  scossa da un stretta della repressione, dalla fuga-beffa del dissidente Cheng Guangcheng e dalla condanna dell’archistar Ai Weiwei ad una multa da 2 milioni di euro, dopo le critiche alle autorità , è il mistero totale che circonda la vicenda. Il giallo è scoppiato a febbraio, quando l’ex braccio destro di Bo Xilai, il capo della polizia Wang Lijun, si è rifugiato nel consolato Usa di Chengdu. Prima di consegnarsi ai funzionari di Pechino, per sfuggire alla vendetta degli uomini di Bo, ha consegnato ai diplomatici americani un memoriale con le prove che Neil Heilwood, frettolosamente fatto cremare e dichiarato vittima di «eccesso di alcol», era stato avvelenato da Gu Kailai. Da allora Wang Lijun, che pure rischia la fucilazione per «altro tradimento », è sparito, come Bo Xilai, la moglie e il loro domestico complice. Solo l’«arrivo spontaneo» a Pechino del misterioso architetto francese Patrick Devillers, fermato in Cambogia, nei giorni scorsi aveva anticipato il prossimo inizio del processo più importante dalle epurazioni per Tiananmen. Imbarazzo di cui il partito è deciso a liberarsi al più presto: per non giungere all’annuncio dei successori di Hu Jintao e Wen Jiabao con lo spettro di Bo Xilai ancora in volo sopra la Città  Proibita.

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